Rapporto Met 2015: le imprese italiane sono le meno incentivate in Ue

euroLe imprese italiane, dopo gli exploit degli anni Novanta, sono diventate le meno incentivate d’Europa. Dice questo il rapporto annuale Met, presentato martedì a Roma. Siamo al livello della Gran Bretagna, molto lontani dai nostri vecchi record.

Secondo i numeri dell’istituto, le nostre aziende incassano dallo Stato circa quattro miliardi di euro in meno rispetto a dieci anni fa. Se a metà degli anni Novanta sfioravamo il punto e mezzo di Pil, adesso siamo intorno allo 0,2 per cento. Siamo ormai in coda alla classifica europea. Questo, comunque, sta portando le nostre imprese a cambiare il loro codice genetico rispetto agli scorsi anni, aumentando le loro capacità di adattamento.

Il calo dagli anni Novanta

Guardando all’analisi del Met, “contrariamente a quanto sostenuto dall’opinione pubblica, che considera il nostro tessuto produttivo come un sistema fortemente sussidiato dagli aiuti pubblici, dalla fine degli anni Novanta si è registrato un progressivo e continuo calo di risorse dedicate. Fenomeno non riconducibile soltanto agli accresciuti vincoli di bilancio, ma ad una tendenza consolidata che ha radici lontane”.

Meno aiuti di Stato

Nel triennio 1992-1994 gli aiuti di Stato alle imprese italiane (esclusi quelli diretti al settore ferroviario) equivalevano all’1,43% del Pil, contro una media europea di 1,07%. Da allora il valore è sceso costantemente, fino a toccare il minimo storico nel 2013 dello 0,23%, inferiore anche al Regno Unito (0,24%), cioè il Paese tradizionalmente collocato sui valori più bassi di intervento pubblico. Dal 2002, anno record della spesa, gli aiuti si sono ridotti, a prezzi costanti, del 72,3%, passando da 5,6 miliardi di euro ad appena 1,5 miliardi nel 2013.

Inversione di tendenza

Questo disimpegno dalla politica industriale, per la verità, sembra volgere al termine e dal 2013 si registra un’inversione di tendenza: sono infatti aumentate le iniziative in questo senso, anche se i flussi sono trascurabili e manca un progetto organico. “L’insieme che si viene a disegnare - dicono dal Met - è tutt’altro che coerente, ma almeno segnala una vivacità che non si registrava da tempo”.

Segmento più reattivo

La tesi contenuta nel rapporto Met è che, in questa situazione, “esiste un segmento di imprese dinamiche e resilienti, pur operanti in classi dimensionali o settori considerati svantaggiati, che ha attivato strategie di reazione alla crisi”. La crisi si è divisa in due fasi: una prima, fino al 2011, in cui c’è stato un generale ripiegamento delle imprese verso la minimizzazione dei costi e dei rischi; una seconda fase, a partire dal 2011, in cui si evidenzia una ripresa delle attività come ricerca, internazionalizzazione e innovazione.

Più imprese fanno ricerca

Dopo il 2013 è aumentato il segmento delle imprese in movimento (dal 47% al 54%). Queste, pur non riuscendo a raggiungere sempre risultati di crescita equilibrata, cercano di attuare strategie dinamiche e costituiscono “per la loro numerosità e per le caratteristiche intrinseche dei soggetti che ne fanno parte, la componente ove risiedono le maggiori potenzialità di crescita per il sistema produttivo italiano, nel suo insieme”. Per favorire lo sviluppo di queste iniziative, secondo il Met, appare fondamentale il ruolo della politica industriale. “Dopo una lunga fase storica in cui, in gran parte dei Paesi, l’espressione politiche industriali evocava logiche perverse, o comunque interventi irrazionali e anti-economici, errori e sprechi di risorse, sembra essersi avviata una nuova stagione di attenzione al tema”.

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