PNRR e Coesione non bastano a ridurre il divario Nord-Sud

Raffaele Fitto - Photo credit: Photographer Aurore Martignoni © European Union 2023Le ingenti risorse destinate alle regioni meridionali non sono sufficienti a contrastare la tendenza al declino del Mezzogiorno. La relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza della Corte dei Conti conferma quanto già emerso anche dalle ultime analisi della Commissione e del Governo in materia di Politica di Coesione. La riprogrammazione di PNRR e fondi strutturali dovrà occuparsi di efficacia, oltre che di accelerare la spesa.

Fondi europei, si cambia: le partite incrociate su PNRR, Coesione e aiuti di Stato

Il Sud non cresce. L'ottava relazione della Commissione europea sulla Politica di Coesione ha testimoniato già un anno fa che, nonostante le ingenti risorse assegnate a titolo dei fondi strutturali europei, le regioni meridionali si trovano in una “trappola dello sviluppo”, con forti disparità in termini di accesso a lavoro, reddito, istruzione, sanità e un gender gap occupazionale doppio rispetto a quello delle più sviluppate.

Ieri la Commissione ha pubblicato un nuovo rapporto, un Indice di competitività regionale (RCI) in base al quale, mentre le regioni meno sviluppate dell'Europa orientale hanno recuperato terreno tra 2016 e 2019, e quasi tutte hanno continuato a farlo tra 2019 e 2021, la maggior parte delle regioni meno sviluppate italiane si è allontanata dalla media dell'UE.

“L'area meridionale - completa il quadro la relazione sul PNRR pubblicata sempre il 28 marzo dalla Corte dei Conti - ha infatti la precipua caratteristica di registrare condizioni di svantaggio relativo in pressoché tutti gli indicatori economici e sociali”. Il differenziale di crescita che si è aperto alla fine degli anni Novanta si è approfondito con la crisi finanziaria mondiale del 2008-09 e poi con la crisi del debito sovrano del 2011-12 e, anche se la crisi Covid ha colpito il Sud meno del Centro-Nord, il recupero è stato meno intenso rispetto al resto del Paese. Parallelamente, rileva la Corte, si è ridotta la spesa pubblica per il Mezzogiorno sia fronte consumi finali (sotto il 37% dopo il 2004, per collocarsi al 34,6% nel 2020) che fronte investimenti (29% nel 2018, 29,3% nel 2020).

Da qui la scelta del precedente Governo Draghi di fare della riduzione dei divari territoriali, insieme a quelli generazionali e di genere, un obiettivo trasversale al PNRR e di destinare al Sud almeno il 40% dei fondi. Impegno rispettato secondo la relazione della Corte, ma che non risolve il problema della messa a terra e poi dell'efficacia della spesa, già riscontrato in relazione ai fondi strutturali europei, da ultimo nella relazione sulla Politica di coesione europea e nazionale presentata dal ministro per il Sud, la Coesione e il PNRR, Raffaele Fitto in CdM a metà febbraio.

Per approfondire: Relazione Fitto: integrare risorse PNRR, fondi strutturali e FSC

La soluzione prospettata da Fitto, al centro del negoziato con Bruxelles sulla revisione del PNRR in occasione dell'introduzione del capitolo REPowerEU, è quella di una maggiore flessibilità su tutti i fondi europei, per arrivare a una programmazione integrata di Recovery e Coesione, anche in funzione delle rispettive scadenze (2026 e 2029). Una strada che però richiede un'attenta ricognizione dei progetti da salvare, per non riproporre - nell'affrontare insieme sia i ritardi di spesa che i problemi di efficacia sostanziamente con il rinvio al 2029 dei progetti che hanno di tempi realizzazione che vanno oltre il 2026 - tutti i limiti delle scelte adottate finora.

I fondi per il Sud nel PNRR

La relazione della Corte dei Conti ci dice che “in tutte le regioni del Sud e nelle Isole la quota di risorse assegnata supera il relativo peso in termini demografici” e che, sulla base delle procedure con cui le singole Amministrazioni stanno dando attuazione al PNRR, il Dipartimento per le politiche di coesione considera “pari al 41 per cento la quota di risorse formalmente assegnata al Mezzogiorno e superiore al 45 per cento la parte di tali appostamenti riferibile a “progetti identificati”, ossia con certezza di destinazione”.

Si tratta però, secondo la Corte di una “condizione necessaria, ma non sufficiente per il conseguimento dell'obiettivo di riduzione dei divari territoriali”.

Da una parte, si legge, “anche qualora alle regioni meridionali fossero riservati tutti i finanziamenti previsti, occorrerà verificare la capacità di spesa delle singole Amministrazioni” a fronte di “un contesto segnato da tempi di realizzazione delle opere pubbliche sistematicamente superiori a quelli medi nazionali”.

Dall'altra, la Corte solleva un tema cruciale evidenziando che la capacità di spesa dei fondi pubblici non dipende solo dalla governance e dalla capacità delle amministrazioni pubbliche che li gestiscono, al centro del decreto PNRR Ter, ma anche dalla possibilità di assorbimento delle risorse da parte dei territori.

Tra Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Fondo complementare al PNRR, Politica di coesione 2021-27, REACT-EU, Fondo sviluppo e coesione (FSC) e Just Transition Fund, per il Sud ci sono oltre 200 miliardi da spendere in pochi anni, senza dimenticare la coda del ciclo 2014-2020 dei fondi strutturali che pure è in drammatico ritardo. La difficoltà di assorbire tutte queste risorse per un territorio con una bassa dinamica economica non è un problema da sottovalutare.

Per approfondire: Il decreto PNRR 3 cambia la governance della Politica di Coesione

L'addizionalità dei fondi europei e il caso del ritardo digitale

Il problema di come garantire una dimensione ottimale dell'intervento pubblico si salda poi a un altro aspetto critico comune a PNRR e Coesione: i tempi stretti di progettazione e attuazione entrano in molti casi in contraddizione con il principio dell'addizionalità dei fondi europei, spingendo ad includere anche progetti in essere non sempre coerenti con le esigenze effettive dei territori e del momento.

Un esempio lampante è quello relativo al ritardo del Mezzogiorno in termini di digitalizzazione. Nonostante la transizione digitale rappresenti uno degli obiettivi chiave del PNRR, insieme alla transizione green, l'architettura del PNRR non affronta adeguatamente i ritardi significativi del Sud rispetto alla media italiana presenti in questo ambito.

Sviluppando un indice DESI regionale (Digital Economy and Society Index) sul modello di quello utilizzato dalla Commissione europea per gli Stati membri, la Corte dei Conti ha rilevato che le regioni meridionali “non hanno lo stesso posizionamento all’interno delle varie dimensioni dell’indice, non presentano uno scostamento omogeneo rispetto alla media nazionale e registrano in alcuni casi ritardi - o anche posizioni di vantaggio - esclusivamente riferibili alla specifica realtà regionale” e avrebbero quindi bisogno di “un approccio verticale, con cui si selezionino le misure più adatte a completare le dotazioni digitali delle diverse aree meridionali”. Il PNRR, invece, affronta il tema della riduzione dei divari territoriali in maniera orizzontale, semplicemente assegnando maggiori risorse al Sud, senza determinare “un impatto differenziato sugli elementi di ritardo digitale”.

La riprogrammazione di PNRR e Coesione che serve al Sud

L'analisi della Corte fornisce quindi elementi chiave non solo per l'analisi retrospettiva, ma anche per valutare la strada che il Governo Meloni sta perseguendo nel negoziato con Bruxelles per assicurare l'avanzamento delle due programmazioni dei fondi europei, PNRR e della Coesione, entrambe in forte e oggettivo ritardo.

Per approfondire: L’Italia è in ritardo sul PNRR, speso solo il 6% dei fondi europei

La soluzione prospettata del ministro Fitto, sfruttando il capitolo REPowerEU del Recovery e la flessibilità sui fondi europei esistenti confermata dall'ultimo Consiglio europeo, è quella di una programmazione integrata che tenga insieme le risorse del Recovery and Resilience Facility e i fondi strutturali europei. In questo modo, i progetti che all'esito della ricognizione chiesta da Fitto ai Ministeri risulteranno irrealizzabili entro il 2026 potrebbero uscire dal PNRR, liberando risorse per gli investimenti strategici per la transizione energetica, e transitare nella Politica di Coesione 2021-27. Tanto più che i Programmi operativi approvati dalla Commissione sono poco più che cornici strategiche, contengono linee di intervento e obiettivi, ma non ancora i progetti, ha sottolineato il ministro in occasione della presentazione della relazione della Corte dei Conti al Parlamento.

A completare il quadro interverrebbe poi il Fondo sviluppo e coesione che, alla luce dei ritardi anche qui drammatici, Fitto vorrebbe riportare alle ragioni originarie: un FSC più ridotto, ma blindato a sostegno del Sud, e non più una cassa cui attingere per le esigenze più disparate, anche violando il vincolo 80%-20%.

Il riallineamento di PNRR e Coesione rischia però di riprodurre gli stessi problemi che si propone di risolvere se affrontato solo dal punto di vista dei tempi di realizzabilità dei progetti, entro il 2026 o il 2029. E lo dimostra la critica mossa dallo stesso Fitto al Governo Draghi, sempre in occasione della presentazione della relazione: i 220 miliardi del PNRR e del Fondo complementare sono stati programmati, secondo il ministro, più raccogliendo progettualità in cantiere che facendo scelte strutturate rispetto alle necessità dei singoli ambiti di intervento, spesso senza un'ottica prospettica, perchè alcuni investimenti finanziati con l'una tantum del PNRR rischiano poi di essere dei moltiplicatori di spesa corrente.

Spostare progetti da un contenitore all'altro replicherebbe quell'errore. Entrare nel merito dei singoli progetti, e non solo delle loro tempistiche, per individuare quelli effettivamente da salvare ed eventualmente traslare sulla Coesione potrebbe condurre a una vera programmazione integrata, basata sulle sinergie tra i fondi, che assicuri la complementarietà degli interventi, eviti le sovrapposizioni e la polverizzazione delle risorse e aumenti l'efficacia della spesa. Il capitolo REPowerEU, però, deve essere presentato a Bruxelles entro fine aprile, a meno che, dopo il rinvio dell'erogazione della terza rata da 19 miliardi, non arrivi anche una proroga per la modifica del PNRR.

Per approfondire: PNRR: slitta di un mese la terza rata da 19 miliardi

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