Combustibili alternativi – arriva l'ok delle Regioni

Dalla Conferenza delle Regioni parere favorevole al decreto combustibili alternativi, ma a precise condizioni.

Combustibili alternativi - Photo credit: mikepmiller via Foter.com / CC BY-NC

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Trasporti - come convertire mezzi tradizionali in veicoli elettrici

A settembre il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al decreto in attuazione della direttiva Ue 2014/94 sulla realizzazione di un’infrastruttura per i combustibili alternativi, volta a ridurre la dipendenza dal petrolio e attenuare l’impatto ambientale nel settore dei trasporti: il testo stabilisce requisiti minimi per l’infrastrutturazione per i combustibili alternativi, da attuare grazie ai quadri strategici nazionali predisposti dagli Stati membri.

Il decreto approvato dal CdM disciplina le misure necessarie a garantire la costruzione e l’esercizio di un’infrastruttura per i combustibili alternativi e per l’attuazione delle specifiche tecniche comuni per tale infrastruttura. Il decreto fissa come obbligatori gli obiettivi per elettricità e gas naturale (GNL, gas naturale liquefatto e GNC, gas naturale compresso), mentre sono facoltativi gli obiettivi per idrogeno (per il quale sono previste misure solo in via sperimentale) e gpl.

Le Regioni dettano precise condizioni

Il decreto riceve l'ok della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, ad alcune condizioni.

La prima riguarda i punti di rifornimento: entro 12 mesi dall'entrata in vigore del testo, le Regioni approvano programmi che prevedono la realizzazione, all'interno delle aree di servizio, di un numero adeguato di punti di ricarica per veicoli elettrici, nonché di distribuzione di gnc e gnl, lungo la rete autostradale. I concessionari delle aree di servizio individuate provvedono, entro i successivi 24 mesi, all'adeguamento. I punti di rifornimento, precisano le Regioni, devono essere previsti a una distanza non superiore a 100 km l'uno dall'altro.

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La Conferenza unificata ha anche accolto l’emendamento al comma 9 dell’art. 18 del decreto, che prevede che le PA, al momento della sostituzione del rispettivo parco autovetture, autobus e mezzi della raccolta dei rifiuti urbani, siano obbligati all’acquisto di almeno il 30% dei veicoli a GNC, GNL e veicoli elettrici (anziché il 25% previsto dalla formulazione iniziale). Nel caso di rinnovo dei parchi utilizzati per il Trasporto Pubblico Locale tale vincolo è riferito solo ai Servizi Urbani.

La percentuale è calcolata sugli acquisti programmati su base triennale a partire dalla data di entrata in vigore del decreto. Le gare pubbliche che non ottemperano a tale previsione sono nulle; le prescrizioni in questione non si applicano alle gare già bandite alla data di entrata in vigore del decreto, nonché a quelle per l’utilizzo delle risorse di cui al Fondo per gli investimenti destinato all'acquisto di veicoli adibiti per migliorare il trasporto pubblico locale (di cui alla legge n. 147 del 27 dicembre 2013).

Bioeconomia: prospettive di crescita

Nel corso della conferenza unificata, le Regioni approvano inoltre un documento di posizionamento sulla bioeconomia in attuazione della strategia nazionale di specializzazione intelligente (SNSI). “La bioeconomia – si legge nel documento - vuole favorire la transizione da un sistema produttivo economico energivoro, basato sulle risorse fossili non rinnovabili e con accentuato impatto ambientale, ad un sistema più sostenibile fondato su un utilizzo razionale ed integrale delle risorse biologiche”.

Le Regioni intravedono grandi potenzialità di sviluppo nell’industria bio-based. Potenzialità legate in grande parte alla valorizzazione di scarti agroalimentari - comparto strategicamente più presidiato dalle Regioni - con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale, e allo sviluppo di colture dedicate in aree agricole marginali, che non competono con la produzione agroalimentare.

Quindi, Regioni e Province autonome individuano possibili traiettorie di sviluppo del settore:

  • L’eccellente posizionamento del Paese, tra i “primi della classe” in Europa, nei settori produttivi afferenti alla bioeconomia, agroalimentare e chimica verde, rappresenta oggi un elemento di competitività molto forte a livello nazionale che bisogna sostenere nel medio-lungo periodo con forti investimenti in formazione, R&D e sviluppo delle imprese;
  • Considerata la forte attrattività del Made in Italy in ambito alimentare, della centralità dei nostri prodotti alimentari nella dieta mediterranea e le accentuate caratteristiche di diversità e tipicità connesse alla ricchezza culturale dei territori, è necessario sviluppare tecnologie ed innovazione in grado di esaltare tali caratteristiche e di difenderle dalle frodi che colpiscono in modo molto forte il nostro settore con il cosiddetto Italian sounding;
  • La bioeconomia ha una stretta relazione con la disponibilità di bio-feedstock locali, e, dunque, con la possibilità di sviluppare economia e nuovi posti di lavoro laddove sia presente questa disponibilità. Un occasione importante per le Regioni che possono adottare strategie di coinvolgimento dei vari portatori di interesse per creare condizioni favorevoli allo sviluppo locale;
  • Il coinvolgimento del comparto agricolo è fondamentale per la produzione di alimenti e per la produzione di materia prima per l’industria della chimica, farmaceutica, cosmetica e dell’energia da biomasse. È dunque necessario che le Regioni programmino e mettano a disposizione strumenti di sostegno allo sviluppo di filiere innovative in modo coordinato. Ad esempio è fondamentale pianificare interventi attraverso approcci plurifondo (FESR, FEASR, FSE), che garantiscono lo sviluppo omogeneo dei vari segmenti di filiera. Nel settore dell’industria alimentare, si evidenzia un forte dinamismo, e questo in tutte Regioni del Paese, per le quali è frequentemente una delle priorità delle loro Smart Specialisation Strategies. Di grande valenza strategica, in tal senso, risultano le correlazioni tra politiche a sostegno della bioeconomia e interventi delle amministrazioni centrali e regionali in relazione alla Strategia Nazionale Aree Interne;
  • Occorre guardare alla filiera del cibo (dalla produzione primaria, alla trasformazione, alla distribuzione e al consumo) come ad una filiera con elevato contenuto di conoscenze e competenze. Bisogna investire in tecnologie e azioni che mirino, da un lato a una sempre più spinta descrizione degli alimenti, dall'altro a una sempre più dettagliata comprensione della complessa rete di meccanismi che sottendono alla qualità e sostenibilità del cibo;
  • Questi obiettivi possono essere colti investendo in settori particolarmente innovativi e tecnologie abilitanti quali la genomica, la fenomica delle piante (plant phenomics) e la metrologia del cibo (food metrology);
  • Nel settore dell’industria chimica da fonti rinnovabili, si evidenzia un forte dinamismo del settore e degli investimenti, anche se ad oggi solo una parte delle Regioni (9), soprattutto nel Centro-Nord, presenta investimenti di una certa dimensione ed importanza. Appare però importante che tutte le Regioni diventino protagoniste e consapevoli della ricchezza in biorisorse dei propri territori, mettendo a punto progetti di sviluppo locale adatti alle particolari condizioni socio-economiche dei loro territori. La bioeconomia rappresenta un grande potenziale per le Regioni del Sud Italia, che, per disponibilità di suoli agricoli e superficie forestale, hanno una straordinaria opportunità di alimentare un ciclo virtuoso di sviluppo sostenibile, valorizzando le proprie risorse biologiche favorendo l’insediamento di iniziative industriali;
  • Molte delle Regioni sono lambite dal mare, ma non hanno chiare strategie dirette alla sua migliore valorizzazione. Serve rendere più sostenibile la pesca e avviare la valorizzazione industriale delle sue biomasse principali, da quelle algali a quelle microbiche in bioraffinerie di nuova generazione;
  • È importante che ci sia un equilibrio nell’uso dei suoli per le produzioni alimentari e per quelle non alimentari derivanti da colture specializzate. Questo problema non esiste ovviamente quando si usano per fini industriali scarti e residui delle produzioni agricole ed industriali. In questo senso vanno favorite le iniziative e le innovazioni che impiegano e recuperano aree marginali o aree prossime ad aree inquinate (ad esempio siti SIN), che possono trovare una utilità economica ed ambientale. Interessante è anche la valorizzazione della frazione organica dei rifiuto solidi urbani, frazione in costante crescita e utilizzabili in alcuni percorsi di bioraffineria verso prodotto biobased meno nobili;
  • Guardando alle filiere di valore della bioeconomia che partono dal settore agricolo e terminano con vari utilizzatori finali, si individuano numerosi soggetti imprenditoriali che vanno ad esempio dalla lavorazione della materia prima, alle bioraffinerie, agli utilizzatori di fine chemicals, ai produttori di energie rinnovabili. È molto probabile che questi segmenti industriali siano presenti in regioni diverse. Diventa dunque importante che le regioni dialoghino per sviluppare catene di valore interregionali. E’ indispensabile sostenere un modello di sviluppo nazionale multipolare in cui ciascuna regione possa sviluppare un proprio modello di “Regione Sostenibile”, sulla base delle proprie caratteristiche e tipicità ambientali e socio-economiche, sviluppando specifici casi studio e partecipando a filiere di valore nazionali.

> Documento di posizionamento sulla bioeconomia in attuazione della strategia nazionale di specializzazione intelligente (SNSI)

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