Cosa rallenta le energie rinnovabili in Italia?
Troppi passaggi, lentezza burocratica, blocchi da parte delle sovrintendenze e norme regionali disomogenee frenano le energie rinnovabili. Cosa serve a un settore maturo e strategico, che può rivelarsi decisivo alla luce del caro energia.
Semplificare quando si parla di energie rinnovabili significa far partire un gran numero di impianti in tutta Italia sbloccando investimenti fermi al palo da anni. Le procedure autorizzative esistenti, infatti, bloccano o ritardando i lavori.
Come ricostruisce Milena Gabanelli in Data Room, per approvare un parco eolico o fotovoltaico servono 5 passaggi:
- l’autorizzazione del ministero;
- quella della Regione;
- il via libera della Conferenza dei servizi;
- l’autorizzazione l’impianto specifico;
- la licenza.
Più un sesto passaggio, la richiesta di connessione a Terna.
Come spiega Anev, l’associazione nazionale energia del vento, “oggi per avere un’autorizzazione di un impianto eolico nuovo ci vogliono oltre 5 anni”.
O per citare i dati dello studio realizzato da Elettricità Futura, l’associazione confindustriale delle imprese elettriche italiane, realizzato in collaborazione con Althesys, in Italia il ritardo medio per autorizzare un impianto rinnovabile raggiunge quasi i 6 anni, che si vanno ad aggiungere ai 2 anni previsti dalla legge.
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A tenere in stallo le rinnovabili sono diversi fattori, come ricostruisce Legambiente nel report "Scacco Matto alle rinnovabili. Tutta la burocrazia che blocca lo sviluppo delle rinnovabili favorendo gas e finte soluzioni" in cui l'associazione ambientalista raccoglie venti storie simbolo di blocchi alle fonti pulite: la lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, la discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, blocchi da parte delle sovrintendenze, norme regionali disomogenee tra loro a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni. E la poca chiarezza è anche causa delle opposizioni dei territori che devono districarsi tra regole confuse e contraddittorie.
La direttiva rinnovabili cambierà le carte in tavola?
Sì, almeno se sarà applicata rispettando i tempi e in modo coerente. Il dlgs che attua la direttiva rinnovabili o RED II in Italia dedica 8 articoli alle semplificazioni amministrative necessarie per aumentare le installazioni di impianti di energia rinnovabile nel Paese.
Si tratta degli articoli dal 18 al 25, che intervengono su vari punti critici.
Tra i passaggi chiave e più attesi dalle imprese ci sono la norma sulle aree idonee e il decreto per l’adozione di modelli unici per le autorizzazioni, che in base al dettato normativo dovrebbero vedere la luce entro 180 giorni dall’entrata in vigore (il 15 dicembre) del dlgs che attua la direttiva europea.
Come suggerisce il nome, il decreto aree idonee servirà ad individuare le superfici e le aree idonee o meno all’installazione di impianti rinnovabili. In base alle anticipazioni, tale decreto dovrebbe prevedere per le aree idonee legacci meno stretti per quanto riguarda i vincoli paesaggistici. Tali vincoli, infatti, non sarebbero ostativi al rilascio dell’autorizzazione e le tempistiche si ridurrebbero di circa un terzo.
Ciò significa, come ricostruito dal Sole 24 ore, limitare i poteri dell’autorità competente in materia paesaggistica che esprime un parere obbligatorio ma non vincolante. In caso di inerzia il decreto permetterebbe di ottenere l’immediato rilascio del titolo autorizzativo, prescindendo da tale permesso.
Ciò che richiederà tempo e qualche complicazione sarà proprio scegliere quali sono queste aree idonee.
Ministero della Transizione ecologica, ministero della Cultura e dicastero dell’Agricoltura dovranno lavorare insieme, previa intesa in Conferenza Unificata, per individuare le aree idonee e stabilire principi e criteri omogenei su tutto il territorio nazionale.
I decreti ministeriali dovranno privilegiare l’utilizzo di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree – anche agricole - non utilizzabili ad altri scopi, nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, tenuto conto della domanda elettrica e dei vincoli di rete.
Spetterà poi alle Regioni e Province autonome individuare in concreto con legge (da emanarsi entro i successivi 180 giorni) le aree da qualificare come “idonee” nel rispetto di tali principi e criteri.
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