Di cosa ha bisogno l’economia circolare in Italia? Risponde Maria Letizia Nepi di Assoambiente
Dai bandi per la raccolta differenziata e il riciclo alla strategia nazionale per l’economia circolare: il PNRR porta con sé una serie di novità importanti per uno dei settori di eccellenza per l’Italia ma anche alcune polemiche. Ne abbiamo parlato con Maria Letizia Nepi, vicedirettore di Assoambiente, l'associazione che rappresenta a livello nazionale le imprese che gestiscono servizi ambientali e quelle dell'economia circolare.
L’economia circolare può contrastare l’aumento dei prezzi e la carenza di materie prime
Affinché l’economia circolare non rimanga soltanto un titolo accattivante c’è bisogno di condizioni normative ed economiche stabili, che permettano di programmare in modo mirato gli investimenti. Non solo, l’economia circolare ha bisogno anche di strumenti agevolativi per tradurre la volontà di far crescere un settore chiave per il Paese in risultati tangibili.
Da tempo gli operatori del settore chiedevano alle autorità una strategia di riferimento. Con il PNRR la strategia nazionale per l’economia circolare ha preso forma. Ritiene che sia adeguata alle aspettative e che risponda alle esigenze del Paese?
La Strategia nazionale per l’economia circolare si pone l’obiettivo di fornire le linee guida strategiche per portare a termine la transizione verso un’economia pienamente circolare. Si tratta di uno strumento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, in quanto contiene una roadmap di azioni e di target misurabili da qui al 2035.
Inoltre, la Strategia contiene gli elementi richiesti dalla Commissione Europea nell’ambito degli Operational Arrangements del PNRR al fine dell’erogazione dei fondi previsti. Tra questi in particolare: un nuovo sistema di tracciabilità digitale dei rifiuti; incentivi fiscali a sostegno delle attività di riciclo e utilizzo di materie prime secondarie; una revisione del sistema di tassazione ambientale dei rifiuti al fine di rendere più conveniente il riciclaggio rispetto al conferimento in discarica sul territorio nazionale; diritto al riutilizzo e alla riparazione; riforma del sistema EPR e dei Consorzi con l'obiettivo di monitorare il funzionamento e l'efficacia di questi ultimi; supporto agli strumenti normativi esistenti come EoW e CAM, in particolare per quanto riguarda l'edilizia, il tessile, la plastica, i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).
Assoambiente, che ha partecipato attivamente alle consultazioni, guarda con favore al documento, un lavoro molto approfondito, che, sebbene non esaustivo, fornisce indirizzi che diventeranno la base e lo spunto per iniziative legislative e di programmazione, anche e soprattutto a livello regionale.
Tuttavia si rivela qualche problema relativo alla mancanza di scadenze intermedie e misure cogenti nell’arco temporale da qui al 2035, anno entro il quale dovranno essere perseguiti gli obiettivi generali e specifici, e adottate le azioni e gli strumenti ad essi funzionali. Infatti, mentre su alcuni strumenti, come gli acquisti verdi nella pubblica amministrazione o l’end of waste siamo già abbastanza avanti, sia pure tra luci ed ombre, in assenza di un cronoprogramma e di tappe intermedie, si rischia che altri strumenti e misure rimangano soltanto sulla carta.
Proprio per questo motivo riteniamo molto importante continuare a monitorarne l’evoluzione. È necessario, inoltre, che l’Osservatorio che verrà costituito sull’attuazione della Strategia attivi un confronto con gli stakeholders e con le aziende e provveda a formare e a responsabilizzare la pubblica amministrazione con delle iniziative specifiche. Solo così sarà possibile raggiungere l’obiettivo finale che è quello di chiudere il cerchio nella gestione dei rifiuti.
Un altro tassello chiave introdotto dal PNRR è il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (PNGR). Qual è il suo giudizio sul Programma?
Il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti è uno dei pilastri strategici della Strategia nazionale per l’economia circolare, trattandosi di uno strumento di indirizzo per le Regioni e le Province autonome nella pianificazione e gestione dei rifiuti, preordinato a orientare le politiche pubbliche e incentivare le iniziative private per lo sviluppo di un’economia sostenibile e circolare.
Il Programma contiene diverse note positive, a partire dall’obiettivo esplicito di dare indirizzi atti a colmare i gap impiantistici presenti nel territorio, superando la disomogeneità registrata a livello nazionale.
L’altra novità del PNGR è che afferma chiaramente il principio di prossimità ed autosufficienza regionale per rifiuti urbani indifferenziati, per gli scarti dei rifiuti urbani avviati a smaltimento e per gli organici.
Per quanto riguarda questi ultimi, il testo di PNGR adottato contiene un elemento rilevante, ossia l’estensione della possibilità di stabilire intese tra Regioni anche per la gestione dei rifiuti organici da raccolta differenziata, cosa che invece non era prevista nella versione del Programma sottoposta a consultazione. L’autosufficienza gestionale per la frazione organica differenziata potrà essere quindi garantita su un territorio più vasto anche se previa redazione di una “relazione tecnica supportata da uno studio LCA”.
Per i rifiuti urbani residui e gli scarti della selezione della raccolta differenziata resta invece la possibilità di raggiungere l’autosufficienza a livello di macroarea nel caso di avvio a recupero energetico. Importanti sono poi alcune valutazioni, basate su analisi Life Cycle Assessment, relative a performance ambientali degli attuali sistemi di gestione per indirizzare le scelte future: ad esempio, emerge che per il trattamento della frazione organica risulta molto più conveniente, sotto il profilo ambientale, un impianto che integri la fase aerobica con quella anaerobica. Allo stesso modo si chiarisce che al pretrattamento del rifiuto residuo in impianti TMB è preferibile l’invio diretto a recupero energetico. Infine, si stabilisce che l’obiettivo di discarica al 10% al 2035 deve essere raggiunto progressivamente indicando chiari step intermedi a partire dal 2023.
Tra le note negative segnaliamo, invece, l’assenza della previsione di poteri sostitutivi in caso di inerzia delle Regioni a colmare i gap rispetto al proprio fabbisogno. Questo può essere un ostacolo alla realizzazione degli obiettivi fissati dalla programmazione nazionale. Nulla infatti viene detto riguardo il livello nazionale, ossia sulla competenza dello Stato circa la funzione di stimolo o coordinamento tra le Regioni che il MiTE potrebbe svolgere in tal senso.
Mancano strumenti concreti di monitoraggio e verifica in particolare sulle azioni intraprese delle regioni per colmare il gap individuato per ciascun flusso preso in considerazione, lasciando ad un’eccessiva discrezionalità la valutazione del loro effettivo compimento e successo.
Non viene, in altre parole, affrontata in modo completo una delle principali criticità che affligge l’industria italiana che si occupa delle operazioni di riciclo/recupero ovvero la generazione di “frazioni negative” dalle operazioni di riciclo che, non essendo ulteriormente riciclabili, devono essere indirizzate verso impianti dedicati alla loro valorizzazione energetica o al loro smaltimento. Purtroppo oggi la maggior parte delle frazioni negative è avviata a discarica o è destinata all’estero a causa dell’insufficienza di impianti sul territorio nazionale in grado di gestirle, con la conseguenza di elevati e crescenti costi di smaltimento che pesano ulteriormente sui costi industriali delle materie riciclate e sul conto economico delle imprese.
Molti aspetti vengono ancora trattati in modo generico e spesso ambiguo, soprattutto con riferimento alle problematiche legate alla gestione di rifiuti speciali quali veicoli fuori uso, rifiuti da costruzione e demolizione e rifiuti tessili. Senza considerare, inoltre, che il PNGR non prende in considerazione alcuni flussi ulteriori per i quali esistono delle criticità gestionali e che necessiterebbero di un’azione decisa: batterie al litio, gomma da PFU, vetroresina, fanghi di depurazione, rifiuti ingombranti (quali mobili e materassi), rifiuti da spazzamento e le ceneri da termovalorizzazione.
Sempre a proposito di Piano nazionale di ripresa e resilienza, i bandi per la raccolta differenziata e il riciclo che si sono chiusi a marzo a suo parere sono stati progettati in modo da potenziare davvero l’economia circolare?
Tra tutti i finanziamenti presenti nel PNRR (pari a 191,5 miliardi) solo una piccola parte dei fondi sono destinati l’ammodernamento di impianti esistenti e alla realizzazione di nuovi impianti di rifiuti (1,5 miliardi) e una parte ancora minore (600 milioni) ai progetti faro per l’economia circolare. Questi 2,1 miliardi di euro totali non risultano assolutamente sufficienti rispetto agli investimenti necessari a colmare il gap impiantistico attuale, stimato in circa 10 miliardi di euro.
A conferma di ciò, secondo dati ISPRA, sono state presentate complessivamente oltre 4.100 domande, per un valore aggregato di 12 miliardi di euro contro i 2,1 messi a disposizione dal PNRR. Dalle regioni del Sud Italia sono pervenuti 1.860 progetti, corrispondenti al 45% del totale, per un valore di 4,6 miliardi, già da soli pari a più del doppio delle risorse previste dal Piano. Per quanto riguarda poi le altre aree, dal Nord sono arrivate più di 1.470 domande, pari a una quota del 36%, per 4,4 miliardi di euro e dalle regioni del Centro 780 domande, equivalenti al 19%, per 3,3 miliardi.
A quanto sopra deve aggiungersi che questi provvedimenti riguardano principalmente i rifiuti urbani, la cui produzione, sempre secondo i dati ISPRA, nel 2019, è stata pari a 30 milioni di tonnellate, a discapito dei rifiuti speciali che rappresentano la maggior parte dei rifiuti generati annualmente, intorno all’80% del totale (nel 2019, ne sono state prodotte 154 milioni di tonnellate).
Pertanto, se l’obiettivo dei finanziamenti del PNRR è quello di migliorare la gestione dei rifiuti e dell’economia circolare, andrebbero considerati tutti i rifiuti prodotti e non principalmente la categoria degli urbani, che rappresentano la quota minore.
Analogamente, va criticata la scelta che vede tra i destinatari dei fondi principalmente gli enti pubblici (EGATO e Comuni), con la possibilità di accesso delle aziende private soltanto ad una minima parte dei fondi (i 600 mln per i progetti faro). E questo in un settore come quello del recupero dei rifiuti notoriamente escluso dalla privativa comunale. Tale scelta genera l’impressione che si vada nella direzione di una trasformazione del sistema economico di questo comparto industriale italiano, favorendo un cambiamento della struttura economica del settore del riciclo, tradizionalmente e storicamente basato su piccole e medie imprese, per sostituirlo con un modello economico tipico europeo dove grandi soggetti gestiscono grandi ambiti territoriali.
Da ultimo, ma non di minore importanza l’Associazione da sempre segnala che la difficoltà maggiore in Italia per la realizzazione e conduzione degli impianti non viene tanto da una mancanza di fondi, quanto dagli ostacoli burocratici e dal clima negativo di sfiducia e sospetto che si è stratificato intorno alla gestione dei rifiuti e che coinvolge tutti, dai cittadini, alla pubblica amministrazione centrale e locale, agli enti di controllo. Tutto ciò rende difficile se non impossibile la programmazione degli impianti per le autorità pubbliche e degli investimenti per le imprese private, l’autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio degli stessi impianti, ed impedisce una efficace e leale collaborazione pubblico-privato.
I bandi in questione sono stati oggetto di polemiche tra territori alla luce della proroga dei termini decisa per favorire una maggiore partecipazione del Sud. Ritiene che sia stata la scelta giusta e che i progetti possano effettivamente ridurre il gap impiantistico tra Nord e Sud Italia?
La proroga di un mese nel lasso di tempo entro cui inviare le domande si è resa necessaria a causa delle poche proposte avanzate dal Mezzogiorno, l’area ove è maggiore la carenza infrastrutturale, ed alla quale sono destinati il 60% dei fondi messi a disposizione. Tale carenza è evidenziata anche dal Rapporto ISPRA sui rifiuti speciali di recente pubblicazione che ha rilevato che la dotazione impiantistica nazionale appare ancora molto frammentata, con oltre 10.000 impianti autorizzati, di cui quasi 6.000 al Nord.
Il Rapporto ISPRA mostra, inoltre, come la maggior parte delle Regioni presenti un eccesso di rifiuti gestiti rispetto a quelli prodotti, fenomeno in parte spiegabile con l’importazione da altri territori. Dal Rapporto emerge poi che molte Regioni del Sud gestiscono meno rifiuti di quelli che producono segnalando un probabile deficit impiantistico: Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia presentano uno squilibrio pari a 4 milioni di tonnellate.
La proroga ha consentito di accrescere il valore delle richieste complessive e, segnatamente, di quelle provenienti dal Mezzogiorno che sono arrivate al 45% del totale.
Ora si rende necessario che gli impianti vengano prima individuati e, successivamente, realizzati, nel limite dei tempi stringenti dettati dall’attuazione del PNRR, proprio a partire dalle aree del Paese a maggiore fabbisogno.
Al di là del PNRR, di cosa ci sarebbe bisogno per sviluppare ulteriormente l’economia circolare in Italia?
Affinché l’economia circolare non rimanga soltanto un titolo accattivante, occorre favorire complessivamente condizioni normative ed economiche stabili e competitive per i materiali riciclati e per i prodotti preparati per il riutilizzo, tali da consentire agli impianti di trattamento e riciclo una programmazione mirata degli investimenti per aumentare le proprie capacità, la qualità dei processi e dei prodotti e la loro portata innovativa.
Inoltre, l’Associazione da tempo propone alcuni strumenti agevolativi per tradurre nell’immediato l’economia circolare in risultati tangibili e in particolare: l’applicazione di una aliquota IVA ridotta ai prodotti costituiti (interamente o in parte) da beni certificati riciclati o preparati per il riutilizzo; la concessione di contributi, sotto forma di credito d’imposta, ai soggetti che acquistano prodotti riciclati per utilizzarli direttamente nei propri cicli di produzione; l’estensione di agevolazioni fiscali alle imprese in possesso di certificazione ISO 14001 al fine di incentivare quei soggetti che investono in sistemi di qualificazione ambientale; l’estensione della misura per la riqualificazione energetica e la messa in sicurezza degli edifici, alla riqualificazione tramite l’impiego, nella costruzione degli edifici, di aggregati riciclati e prodotti realizzati con aggregati riciclati a marcatura CE, destinati ad usi specifici e regolamentati.