Le mosse di Bruxelles per difendere gli interessi europei nel mondo globalizzato
Con la comunicazione sulla strategia per la sicurezza economica - da leggersi in tandem con il pilastro commerciale del Green Deal Industrial Plan - prosegue la virata dell’UE verso una politica se non proprio protezionistica, sicuramente più guardinga rispetto allo scenario geopolitico internazionale. La comunicazione è infatti l'ultimo tassello di un crescente numero di strumenti messi in campo in questi anni sia per assicurare un equo terreno di gioco tra imprese UE ed extra-UE, sia per tutelare gli asset e gli interessi strategici europei (in primis su infrastrutture, tecnologie e materie prime).
La strategia UE sulla sicurezza economica
Se è vero che il percorso che nel 2021 ha portato al varo della nuova strategia di politica commerciale dell'UE è iniziato anni addietro, l'accelerata è arrivata senza dubbio con i due recenti shock rappresentati dal Covid e dalla guerra in Ucraina. All’aumento di conflitti economici, cessioni più o meno forzate di tecnologia e alla crisi del sistema multilaterale, infatti, si sono aggiunti il Covid e l’Ucraina che hanno agito da macro-trigger mettendo improvvisamente a nudo alcune rilevanti fragilità strutturali dell’UE sul fronte delle catene del valore (in primis di farmaci e dispositivi medici) e degli approvvigionamenti energetici. Fattori che hanno portato Bruxelles a parlare di “autonomia strategica aperta” e ad agire in maniera sempre più fattiva per la difesa dei propri interessi nel mondo.
A mettere in fila i vari strumenti UE varati in questi anni, l'evoluzione della strategia europea emerge chiaramente. Dalle canoniche politiche anti-dumping, infatti, si è passato progressivamente a parlare di screening degli investimenti diretti esteri, di strumenti anticoercizione e di limiti alla concorrenza sleale da parte di imprese extra-UE foraggiate da aiuti di stato di Paesi terzi.
Adesso con il pilastro commerciale del Green Deal industrial Plan e con la comunicazione sulla sicurezza economica, i vari strumenti sono maggiormente armonizzati all’interno di un quadro strategico a 360° che collega esplicitamente questioni economiche ad aspetti di sicurezza e che, in tale contesto, lascia presagire un confronto sempre più palese tra attitudini liberiste e spinte dirigiste.
Gli strumenti per la tutela degli interessi europei
In attesa di vedere l'evoluzione della politica europea su tali questioni, quel che è certo è che grazie agli strumenti messi in campo e a quelli in fase di attuazione, le imprese europee hanno oogi maggiori armi per tutelarsi.
Sul fronte commerciale, ad esempio, le imprese possono anzitutto ricorrere agli strumenti anti-dumping che negli anni hanno dato prova di funzionare adeguatamente. Laddove nel mercato europeo arrivino prodotti extra-UE con prezzi clamorosamente più bassi, frutto di politiche di dumping o di sovvenzioni statali illecite, la Commissione - su richiesta di imprese e associazioni di categoria - può entrare in scena investigando sul caso e intervenendo anche con dazi e altre limitazioni.
Per le imprese che esportano nei paesi terzi, invece, tra gli strumenti di tutela esistenti figurano quelli assicurati dagli accordi commerciali firmati dall’UE con un numero crescente di paesi. Si tratta ad esempio della possibilità per le imprese di denunciare a Bruxelles sia eventuali gli ostacoli riscontrati nell’accesso ai mercati terzi, sia le violazioni in materia ambientale. Per farlo la Commissione ha messo a disposizione un facile sistema di denuncia che si basa sul portale Access2Market.
Discorso più delicato è quello relativo agli investimenti diretti esteri in Europa. Una linfa di cui l’economia europea vive e di cui ha bisogno ma che, se non adeguatamente controllata, può tradursi in un boomerang. Quando si tratta di investimenti in aziende tecnologiche europee o in infrastrutture critiche, infatti, l’attenzione deve essere molto alta.
In tale contesto tra gli strumenti esistenti figura il Regolamento sulle sovvenzioni estere distorsive del mercato interno. Uno strumento che - nel contesto di concentrazioni di grande portata e di offerte in procedure di appalto pubblico di elevata entità - permette alla Commissione di indagare su eventuali sovvenzioni illecite ricevute dall’impresa straniera da parte di un Paese terzo ed eventualmente intervenire.
Più debole invece il meccanismo di screening sugli investimenti esteri che nonostante abbia come obiettivo quello di verificare gli investimenti fatti da paesi extra-UE che possono essere pericolosi, allo stato attuale, è sostanzialmente un meccanismo di cooperazione che facilita lo scambio di informazioni tra l’UE e i paesi membri. Per questo, nel prossimo futuro, non si esclude la possibilità di una sua modifica.
Tra gli altri strumenti più evoluti figura invece lo strumento anti-coercizione attualmente in fase di approvazione. Si tratta di uno strumento (pensato per lo più come deterrente) che serve per rispondere alla coercizione economica effettuata da un paese terzo su un paese UE. Parliamo di quelle pratiche, spiega Bruxelles, con “cui un paese terzo cerca di esercitare pressioni sull'Unione o su uno Stato membro per indurli a compiere una determinata scelta applicando, o minacciando di applicare, misure che incidono sugli scambi o sugli investimenti”.
Ebbene, una volta in vigore, lo strumento permetterà a Bruxelles di mettere in campo un'ampia gamma di possibili contromisure (dazi, restrizioni agli scambi di servizi e limitazione degli investimenti esteri diretti o dell'accesso al mercato UE degli appalti pubblici) che dovrebbero portare il paese terzo a desistere dai suoi intenti vessatori.
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