Idrogeno: grande opportunità industriale per l’Italia. Ma siamo pronti per coglierla?
Se l’Italia sarà in grado di giocare bene le sue carte, con l’idrogeno rinnovabile avrà non solo la possibilità di convertire impianti industriali oggi “critici” sotto il profilo ambientale ed economico, ma avrà l’occasione unica di diventare un player di riferimento nei nuovi equilibri energetici. Ma occorre accelerare su diversi fronti affinché ciò accada: vanno sbloccate le autorizzazioni agli impianti rinnovabili, accelerare gli investimenti infrastrutturali e formare le competenze necessarie.
Comunità energetiche e idrogeno nelle aree portuali, sfide e opportunità
Non c’è più tempo da perdere. E’ questo il messaggio che arriva dalla “Tavola rotonda sulla strategia europea dell’idrogeno - Stato attuale della filiera, criticità, opportunità e possibili scenari futuri” organizzata dalla rappresentanza in Italia della Commissione Europea e GR.A.N.D. (Green Academy for the new deal).
Messaggio su cui concordano istituzioni, attori industriali e finanziari. Non potrebbe essere altrimenti visto l’enorme potenziale dell’idrogeno nel nuovo assetto energetico globale, la capacità del vettore energetico di sganciare l’Europa dal gas russo in tempi rapidi ed accelerare la transizione a un’energia più green.
La necessità di fare presto e investire massicciamente sull’idrogeno dimostrata dai numeri e dagli obiettivi che l’UE si è data: “La strategia europea dice che dovremmo avere 6.000 MW al 2024. Oggi in Italia abbiamo solo 2,4 MW installati in Italia. Dobbiamo darci una mossa molto rapidamente”, dichiara Angelo Consoli, General Manager of Bruxelles’ Jeremy Rifkin Office and of Cetri Tires e moderatore della tavola rotonda.
Idrogeno: cosa prevede la tabella di marcia fissata da Bruxelles?
I primi passi del percorso di valorizzazione del vettore energetico Bruxelles li ha mossi nel luglio del 2020 con la strategia per l’idrogeno e il progetto di mobilitare quasi 500 miliardi di investimenti nell'idrogeno verde o rinnovabile nei prossimi trent’anni.
Da allora il quadro geopolitico e gli equilibri energetici sono cambiati radicalmente ma l’idrogeno è rimasto al centro della scena. Si veda REPowerEU, il piano di Bruxelles per non essere più sotto scacco di Mosca sul piano energetico presentato a maggio 2022: l'obiettivo indicato nel piano è di arrivare a 10 milioni di tonnellate di produzione interna di idrogeno rinnovabile e 10 milioni di tonnellate di importazioni entro il 2030, per sostituire gas naturale, carbone e petrolio nelle industrie e nei trasporti, vale a dire nei settori più difficili da decarbonizzare.
Strategie cui si aggiungerà presto una banca ad hoc, la Banca europea dell’idrogeno che contribuirà a garantire l'acquisto di idrogeno rinnovabile.
Perché, per citare Antonio Parenti, Capo della rappresentanza della Commissione europea in Italia, la produzione e il consumo di idrogenno verde “non si fa solo con i buoni propositi ma con i fondi”. Fondi che l’Europa mette a disposizione tramite una serie di strumenti: da Next Generation EU, che mette a disposizione oltre 9 miliardi per il sostegno all’idrogeno, ai fondi per i progetti innovativi finanziati tramite l’IPCEI.
Nel fare una panoramica dei fondi esistenti Parenti non dimentica di citare i bandi per i progetti di ricerca e innovazione dedicati all’idrogeno nell’ambito di Horizon Europe, i 3 miliardi messi a disposizione a inizio novembre tramite l’Innovation Fund e le risorse disponibili tramite il Connecting Europe Facility per sviluppare l’infrastruttura necessaria a supportare la transizione all’idrogeno.
“Se l’Italia gioca bene le sue carte avrà la possibilità non solo di convertire impianti industriali” attualmente considerati ‘critici’, “ma vista la sua posizione nel Mediterraneo potrà avere un ruolo di primo piano negli scambi UE-Africa”.
Il primo passo: partire dai settore hard-to-abate
Nell’immediato, l’approccio della Commissione europea punta sull’impiego dell’idrogeno laddove si rende più necessario, vale nei settori “hard-to-abate”, quelli cioè più difficili da decarbonizzare. “L’idrogeno va sempre visto come un complemento della strategia di decarbonizzazione del sistema energetico”, sottolinea Alessandro Polito, Policy Officer della Commissione europea. “Per quanto la Commissione consideri l’idrogeno fondamentale, si tratta comunque di una tecnologia che permetterà di decarbonizzare quei settori che non sono facilmente elettrificabili”.
Più nel dettaglio, la strategia di Bruxelles parte da quei settori in cui l’idrogeno è già utilizzato per estendersi a settori emergenti, come la siderurgia e i trasporti, soprattutto quelli a lunga distanza.
Presto gli attesi atti delegati sull’idrogeno rinnovabile
Ma è molto importante che le strategie siano accompagnate da un corretto impianto legislativo: “I lavori sugli atti delegati" per la definizione di idrogeno rinnovabile e emissioni di gas serra "sono in dirittura d’arrivo”, fa sapere Polito. Si tratta di documenti molto attesi dagli operatori del settore: il primo definisce i criteri per cui l’idrogeno può essere qualificato come ‘rinnovabile’ nel contesto di un suo utilizzo come combustibile per i trasporti, elemento fondamentale per poter contribuire alla decarbonizzazione del settore; il secondo riguarda aspetti metodologici relativi alla riduzione delle emissioni di gas serra (GHG) e definisce un dettagliato schema per il calcolo delle emissioni dell’idrogeno rinnovabile nell’intero ciclo di vita del combustibile.
“Ha grande importanza stabilire criteri di sostenibilità per evitare che effetti avversi sulla decarbonizzazione del nostro sistema energetico”, prosegue Polito, che ricorda che per produrre idrogeno verde da elettrolisi “servono importanti quantità di elettricità da fonti energetiche rinnovabile” ed è molto “importante che questa elettricità non venga sottratta a altri sistemi energetici”.
“Per questo nell’atto delegato sulla definizione di idrogeno rinnovabile insistiamo sull’addizionalità, quindi che l’idrogeno venga prodotto da energia rinnovabile nuova”, conclude.
Rinnovabili e idrogeno: il problema in Italia è sempre la burocrazia
Addizionalità, sottolinea Polito. Che significa produrre più energia da fonti rinnovabili da destinare agli usi consueti e alla produzione di idrogeno verde. Ma c’è un ma.
“L’idrogeno non è una fonte di energia ma occorre generarlo in modo sostenibile. Per generarlo in modo sostenibile servono gli impianti FER, per fare gli impianti occorre sbloccare le autorizzazioni”, spiega Mauro Moroni, Hydrogen Working Group Coordinator di Italia Solare.
Nessun problema in teoria, problema annoso in pratica. “In questo momento ci sono circa 280 GW di richieste di connessione alla rete in Italia in attesa che i procedimenti vadano avanti. Quest’anno abbiamo fatto più di 1 GW ma è nulla rispetto a ciò che ci serve”, ovvero “circa 8 GW all’anno”.
Moroni propone una soluzione per dedicare una parte della produzione di rinnovabili all’idrogeno: “Nel Centro Sud c’è un problema di congestione nella produzione di energia rinnovabile, c’è una sorta di ingorgo energetico”. Per semplificare, al Sud c’è più Sole e più vento per più mesi dell’anno e in alcuni periodi si produce energia da fonti rinnovabili in eccesso.
“Una soluzione sarebbe trasformare quell’energia in idrogeno. Idrogeno che a sua volta potrebbe alimentare non solo i trasporti ma anche le industrie del territorio, che così possono essere riconvertite”, spiega Moroni.
Il progetto innovativo che dai rifiuti porta a una hydrogen valley
Malgrado le difficoltà attuali, le imprese credono nell’idrogeno e investono in progetti sempre più innovativi.
Uno di questi è il progetto di NextChem S.p.A, controllata del gruppo Maire Technimont, che ha avuto accesso ai fondi europei dell’IPCEI Hy2Use.
Progetto che creerà la prima hydrogen valley in Italia a partire dai rifiuti solidi non più riciclabili, quelli sottratti all’incenerimento o all’immissione in discarica, spiega Giacomo Rispoli, amministratore Delegato di MyRechemical srl (Gruppo Nexchem).
Si tratta di rifiuti che hanno in sé un contenuto energetico e che, attraverso un processo di gassificazione parziale, verranno convertiti in idrogeno e metanolo o idrogeno ed etanolo. Una doppia via che è però transitoria: “man mano che la domanda di idrogeno prenderà il sopravvento ridurremo la produzione di etanolo per arrivare al 100% di idrogeno”, spiega Rispoli. “Abbiamo quindi l’ambizione di produrre idrogeno considerato green con un costo di produzione nettamente inferiore rispetto a quello proveniente da idrolisi pura”.
L’impianto sorgerà in un’area industriale dismessa, avrà una durata di 5 anni e dovrebbe essere attivo nel 2027. L’idrogeno prodotto servirà ad alimentare una flotta di autobus cittadini o i mezzi della spazzatura.
“Una volta consolidato il progetto romano intendiamo estenderlo a altre hydrogen valley, immaginiamo di avere questi impianti distribuiti sul territorio in modo da ridurre anche i costi di logistica”, conclude Rispoli.
Idrogeno e mobilità: un binomio possibile con un’infrastruttura adeguata
Un’azienda da tempo avviata sulla strada dell’idrogeno nel settore è Toyota, rappresentata nel corso della tavola rotonda da Andrea Saccone, Head of External Relations di Toyota Motor Italy. Quel che manca a una diffusione più capillare dell’idrogeno nella mobilità è l’infrastruttura di rifornimento.
Saccone fa un esempio concreto che riguarda da vicino uno dei prodotti di punta della Toyota, la Mirai, la prima auto ad idrogeno con tecnologia Full Cell System a zero emissioni e nessun motore a combustione interna. “Oggi sono solo due le stazioni di rifornimento in Italia in grado di rifornire la Mirai. In Germania sono cento. La buona notizia è che il PNRR offre un’opportunità da questo punto di vista prevedendo investimenti importanti e significativi in tal senso”.
Si tratta di investimenti previsti nella seconda Mission del Piano nazionale di ripresa e resilienza e che riguardano la sperimentazione dell'idrogeno per il trasporto stradale e ferroviario, la produzione di idrogeno nelle aree dismesse e il rinnovo del parco autobus con mezzi elettrici e a idrogeno.
Secondo Saccone, gli autobus potrebbero essere considerati “il cavallo di Troia della mobilità a idrogeno: circolando in un’area limitata si può più facilmente sostenere un investimento sull’infrastruttura di rifornimento”.
La questione infrastrutturale si pone anche secondo Maurizio Pica, General Manager di Tecnobus Industries, leader europeo dei minibus con oltre 500 veicoli venduti in Europa e non solo. “L’idrogeno è il futuro ma c’è un problema di infrastruttura ed è un problema fondamentalmente politico. La tecnologia esiste, i mezzi ci sono e possiamo metterli in circolazione, il problema è che mancano le infrastrutture”.
Migliorare e accelerare è la parola d’ordine per le diverse imprese intervenute alla tavola rotonda, inclusa HIVEEnergy,uno dei principali sviluppatori di energia solare fotovoltaica del Regno Unito. Ma il General Manager di HIVE Energy per l’Italia, Stefano Salerno, invita a non farsi prendere dalla fretta: “Ragioniamo e prendiamoci il nostro tempo e sono sicuro che per l’Italia l’idrogeno sarà un trampolino di lancio”.
Su posizioni convergenti anche Alessandro Schiavone, amministratore delegato di Fucino Green, del gruppo Banca Fucino S.p.A. “Ci auguriamo che ci sia una velocizzazione importante delle autorizzazioni” e allo stesso tempo “ci auguriamo che ci sia anche un sistema di agevolazioni a supporto”.
Dall’idrogeno nuovi posti di lavoro ma servono competenze
Ultimo ma non ultimo, la transizione energetica innescata grazie alle energie rinnovabili e all’idrogeno potrebbe avere effetti positivi anche sotto il profilo occupazionale. Ma occorre muoversi sin d’ora per formare le competenze necessarie a garantire il successo di tale transizione.
“Il settore più importante in cui agire è quello della formazione a tutti i livelli”, sottolinea Livio De Santoli, prorettore dell’Università degli studi di Roma La Sapienza.
“L’idrogeno ci dà una grandissima opportunità industriale che può far sì che si creino filiere locali e regionali”. Ma l’illuminazione dei singoli imprenditori dev’essere agevolata dallo Stato.
In questo contesto si potrebbe realizzare “una formazione regionale coordinata dallo Stato, in cui specializzare ogni risorsa territoriale in modo che rappresenti un vantaggio imprenditoriale”, prosegue De Santoli. Oltre a proporre una scuola dell’idrogeno, da realizzare con le aziende, De Santoli propone dei dottorati universitari sponsorizzati dalle aziende sulle diverse tecnologie dell’idrogeno.
Un forum permanente per l’idrogeno
In chiusura dei lavori il moderatore Angelo Consoli fa una proposta concreta per far sì che il proficuo dibattito della “Tavola rotonda sulla strategia europea dell’idrogeno - Stato attuale della filiera, criticità, opportunità e possibili scenari futuri” non resti lettera morta: istituire un forum permanente per l’idrogeno.
Foto di Alexas Fotos