SACE, mappa dei rischi 2023: il mondo è in una stabile fragilità

Foto di Christian ReinkeCome ogni anno SACE ha aggiornato la Mappa dei rischi, la bussola per le imprese che operano sui mercati internazionali (che esportano e/o investono all’estero) che dà indicazioni sui rischi politici, di credito e di sostenibilità. La fotografia è a luci e ombre, con il rischio di credito generalmente stabile, mentre quello climatico e quello politico in peggioramento.

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Anche quest’anno la mappa dei rischi di SACE si conferma uno strumento imprescindibile per le imprese italiane internazionalizzate, fornendo una fotografia specifica per 194 paesi, analizzati sotto i tre macro profili di rischio (politico, creditizio e ambientale), con un punteggio che va da 0 (rischio minimo) a 100 (rischio massimo).

Complessivamente la mappa “evidenzia una generale stabilità del quadro dei rischi del credito globali, senza mostrare tuttavia l’auspicata inversione di tendenza dopo i marcati incrementi dello scorso anno”, spiega Alessandro Terzulli, Chief Economist di SACE. “Se da un lato questa stabilità è una buona notizia perché, nonostante le circostanze geopolitiche avverse, le principali economie sono riuscite a mantenere un livello di rischio relativamente immutato, dall’altro rappresenta un’occasione persa per quelle geografie che hanno beneficiato di ampi supporti finanziari. Peggiorano i rischi politici in un contesto globale fortemente polarizzato da elementi di natura geopolitica, in particolare nella componente di violenza politica; peggiorano i rischi climatici, migliorano gli indicatori di transizione energetica”.

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Il rischio di credito

Il primo fattore di rischio analizzato nella mappa riguarda il credito. Come ben sanno le imprese che esportano e/o investono all’estero, “si tratta del rischio che la controparte estera (sovrana, bancaria o corporate) non sia in grado o non sia disposta a onorare le obbligazioni derivanti da un contratto commerciale o finanziario”, spiega SACE.

Ebbene, dei 194 Paesi analizzati, il rischio di credito diminuisce in 57 paesi, aumenta in 65 e resta stabile in 72.

In linea di massima, le principali geografie avanzate continuano ad avere “un profilo creditizio invariato con una crescita in rallentamento e conti pubblici frenati dall’onere del sostegno a famiglie e imprese prima per gli impatti della pandemia e ora per il caro bollette energetiche”, spiega SACE.

In miglioramento i paesi del Medio Oriente produttori di commodity dell’energia che hanno beneficiato dell’aumento dei prezzi, con ricadute positive sulle finanze pubbliche.

Piuttosto variegato, invece, lo scenario asiatico. Da un lato, infatti, i rischi bancari e corporate sono in aumento in Paesi come Thailandia (60) e Cina (50) caratterizzati da un elevato livello di debito privato. Dall’altro la situazione è migliore in paesi come Vietnam (67) e Taiwan (23) grazie ad una gestione dei conti pubblici con livelli di debito inferiori al periodo pre-pandemico. A spiccare è infine la situazione dell'India (60) dove il progressivo consolidamento fiscale e una robusta crescita economica posizionano il paese tra i best performer dei principali mercati globali, garantendole un miglioramento.

Tinte fosche invece per l’Europa emergente e CSI dove il rischio di credito risente della guerra in Ucraina. Abbastanza male anche la Turchia “dove il ripetuto taglio dei tassi di interesse con un’inflazione sopra l’80% ha causato una perdita di fiducia da parte degli investitori internazionali e conseguente downgrade da parte di tutte le agenzie di rating”, spiega SACE.

Clima relativamente ottimista in America Latina dove ad esempio Brasile (55) e Messico (44) proseguono con una buona performance di crescita e dove anche l’Argentina (81), nonostante un quadro politico ed economico ancora incerto, vede un miglioramento della propria dinamica debitoria.

Più seria invece la situazione in Africa, dove si registra un complessivo peggioramento del punteggio del rischio del credito, generalmente per le ricadute delle politiche post pandemiche e della dipendenza dai capitali esteri.

Il rischio politico

In tutto il mondo peggiora complessivamente il rischio politico, cioè l’insieme di un mix di indicatori come: i rischi di guerra, i disordini civili e la violenza politica, i rischi di esproprio e di violazioni contrattuali e i rischi di restrizioni al trasferimento e alla convertibilità valutari. Su 194 paesi analizzati, infatti, sono ben 88 i paesi che peggiorano, 71 quelli che restano stabili e solo 35 quelli che migliorano. Anche in questo caso il focus geografico aiuta a mettere a fuoco i diversi contesti.

A registrare un aumento del rischio politico sono anzitutto i paesi dell’Europa emergente e CSI, dove il conflitto ha aumentato il rischio in Russia, Bielorussia (entrambe a 97), nell’Est d’Europa e nella regione del CSI e ha contribuito a riacutizzare anche tutte quelle tensioni già presenti in Kosovo (71), Serbia (50), Moldavia (64), Bosnia (66), Azerbaijan (59) e Armenia (65) o ad aumentare il dissenso verso regimi come in Turkmenistan (81).

Scura anche la situazione in Africa dove, da un lato si vedono gli effetti della mancanza di materie prime alimentari e delle proteste sociali (come in Tunisia, Egitto e Nigeria, in cui il livello di rischio aumenta rispettivamente a 76, 71 e 84). Dall’altro si assiste al peggioramento di conflitti già presenti sul territorio (ad esempio in Ciad (81), Guinea (85), Mali (85) e Burkina Faso (77) dove negli ultimi due anni si è assistito a diversi colpi di stato).

A pesare sull’America Latina sono sopratutto, invece, le disuguaglianze sociali e territoriali dove, in linea generale, “la polarizzazione socio-economica e la dispersione dei voti si sono riflesse nella frammentazione parlamentare e nella difficoltà per chi è al governo di fornire risposte alle istanze dei cittadini” con il frequente scoppio di rivolte sociali che non sembrano destinate a rientrare a breve, scrivono gli analisti di SACE.

Più stabile il quadro in Asia, anche se “non vanno trascurate le perduranti e crescenti tensioni tra Cina (41) e Taiwan (20), sebbene un confronto militare tra i due Paesi rimanga al momento uno scenario remoto”.

Migliorano invece le economie del Golfo che beneficiano di maggiori disponibilità di valuta forte grazie agli introiti delle commodity come gli EAU (21), l’Arabia Saudita (41) e l’Oman (44).

Gli indicatori sul cambiamento climatico

Infine per le imprese che operano sui mercati internazionali, assume sempre più rilevanza il cambiamento climatico, analizzato tramite una serie di indicatori (che monitorano le componenti come la temperatura, la fragilità idrogeologica e il vento, integrate nelle valutazioni del rischio d’impresa) a cui si aggiungono due campi di analisi: 

  • il benessere sociale, che approfondisce la demografia, l’uguaglianza, il livello di salute, l’istruzione e il lavoro;
  • la transizione energetica, che misura lo stato di avanzamento della riconversione verso un nuovo mix energetico, quale fattore di resilienza.

Partendo dalle buone notizie, segnali di ottimismo arrivano da quest'ultima componente. Nonostante le complesse condizioni economiche e geopolitiche su scala globale, infatti, gli indicatori di transizione energetica, mostrano un parziale miglioramento trainato dalle rinnovabili, a conferma dell’irreversibilità di un processo.

Meno ottimismo, invece, per quanto concerne gli indicatori sul cambiamento climatico che presentano un peggioramento nell’ultimo anno, seppure con alcune differenze dal punto di vista geografico.

Sotto questo punto di vista, ad essere più esposta è l’Asia dove il rischio di fenomeni naturali avversi a causa di temperature in aumento due volte più rapidamente rispetto alla media globale. Tinte fosche anche per l’Africa Subsahariana dove si riporta un cospicuo aumento degli indicatori di rischio climatico, con dinamiche differenti nei vari quadranti regionali. Si va dagli eventi alluvionali hanno colpito ad aprile il Sudafrica (84), alla siccità in Etiopia (86), Kenya (96), Somalia (86) e Tanzania (77)  che si protrae dal 2020, fino ai cicloni che hanno colpito Madagascar (76), Malawi (99) e Mozambico (92) negli ultimi anni e all’invasione di locuste in Africa orientale nel 2020. Livelli più bassi di rischio sui cambiamenti climatici si registrano invece in America Latina, dove comunque Honduras (84), Guatemala (81), Nicaragua (70), Costa Rica (67) ed El Salvador (66) continuano a subire fasi di siccità molto ricorrenti e prolungate che a volte sono interrotte da fenomeni piovosi estremi.

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