Cosa funziona e cosa no della direttiva UE sul salario minimo

Salario minimo - Photo credit: Foto di Janno Nivergall da Pixabay Politica, sindacati e organizzazioni delle imprese a confronto sulla proposta di direttiva UE sul salario minimo, un testo che mira ad affrontare i problemi della povertà lavorativa, del dumping salariale nel mercato interno e del gender pay gap, ma ha di fronte un percorso tutto in salita, a cominciare dai 900 emendamenti presentati al Parlamento UE.

Cosa prevede la proposta di direttiva sul salario minimo

Se l'irrompere delle tematiche sociali nel dibattito europeo, in risposta alla Brexit e ancora di più alla luce della pandemia, è stato salutato positivamente da tutti i relatori del webinar organizzato il 24 maggio dall'Ufficio in Italia del Parlamento UE, la proposta di direttiva sul salario minimo, presentata nell'ottobre 2020 dalla Commissione europea, vede posizioni distanti, soprattutto tra le organizzazioni delle imprese, contrarie ad un testo giuridico vincolante, e i sindacati, favorevoli alla forma direttiva.

Servirà un complesso lavoro di mediazione nei negoziati interni alle istituzioni UE e tra Parlamento e Consiglio, ma il dibattito raccomandazione/direttiva è ormai superato, osserva l'eurodeputata della commissione Occupazione e Affari sociali del PE, Daniela Rondinelli. Se il testo è arrivato dov'è, le parti sociali degli altri paesi europei sono pronte ad affrontare questo processo. Anche quelle italiane devono concentrarsi su quale sia la migliore direttiva possibile per affrontare l'aumento del working poors e la concorrenza sleale sul costo del lavoro e per promuovere la parità salariale tra uomini e donne.

Di Maio, Governo favorevole a direttiva salario minimo

A testimoniare il sostegno del governo italiano alla proposta della Commissione, il ministro degli Affari esteri, Luigi di Maio, secondo cui la risposta dell'UE alla pandemia ha rimesso la dimensione sociale al centro del progetto europeo. In occasione del vertice di Porto, ha ricordato Di Maio, il premier Draghi ha proposto di rafforzare il Pilastro europeo dei diritti sociali e chiesto che gli obiettivi condivisi in materia di lavoro e contrasto alla povertà siano parte integrante della governance europea, anche confermando meccanismi innovativi per stabilizzare l'occupazione, come lo strumento SURE.

Dire che un intervento UE contro la povertà lavorativa non è più procrastinabile non significa che dovremmo parificare tutti i salari allo stesso livello, ha specificato Di Maio: si tratta di assecondare dinamiche di convergenza verso l'atto delle retribuzioni nel rispetto dei sistemi nazionali, cioè rafforzare il salario minimo legale nei 21 Stati membri che lo prevedono e la contrattazione collettiva nazionale in Italia e negli altri cinque paesi UE che condividono la nostra stessa tradizione.

Per approfondire: Summit Porto: Draghi, avanti con SURE e politiche di bilancio espansive

Attenzione a contratti poco rappresentativi e part time involontario

Giudizio nel complesso positivo, ma con la segnalazione di diversi aspetti da migliorare per i parlamentari italiani ed europei e i rappresentanti delle sigle sindacali intervenuti al webinar. Per Susy Matrisciano, presidente della commissione Lavoro del Senato, la direttiva sul salario minimo è fondamentale in virtù dell'aumento dei lavoratori poveri (+12% negli ultimi dieci anni), collegato anche a contratti collettivi nazionali, soprattutto in settori quali il turismo, i servizi integrati, la vigilanza, le cooperative socio-assistenziali, che non garantiscono livelli minimi adeguati. Un punto qualificante - ha detto la senatrice del M5S - sarebbe allora quello di fissare un obiettivo di riduzione della povertà lavorativa e del gap salariale di genere e accompagnarlo con strumenti di sostegno alle imprese per agevolarle nel recepimento della direttiva.

Sono le stesse linee guida contenute nel disegno di legge dell'ex ministra del Lavoro Nnuzia Catalfo sul salario minimo orario, ha detto Matrisciano. Un testo che però non convince i sindacati.

La proposta di direttiva UE ha un'impostazione corretta, mentre la discussione sui salari minimi nel nostro paese rischia di costruire strumenti alternativi per regolare i diritti dei lavoratori più deboli della contrattazione collettiva, ha osservato il segretario confederale CISL, Giulio Romani. Il salario minimo può essere una necessità in paesi con condizioni da dumping, ma nei contesti in cui è stato applicato non è bastato da solo a generare sostenibilità.

Il contratto collettivo nazionale è l'unico strumento di tutela universale dei lavoratori e delle lavoratrici, ha dichiarato Tiziana Bocchi, Segretaria Confederale UIL. La direttiva UE lo valorizza, perché anche se il titolo richiama il salario minimo, in realtà il testo riguarda in buona parte l'allargamento dello strumento della contrattazione collettiva. Il vero problema, per noi, è l'elusione dei contratti nazionali firmati dalle organizzazioni più rappresentative.

Analoghe osservazioni dal segretario generale di UGL, Francesco Paolo Capone: in Italia abbiamo una buona prassi di contrattazione collettiva consolidata, che dovremmo trasferire in Europa, e non mettere paletti esterni alla contrattazione con contratti legali basati sul solo minimo salariale. “Dobbiamo iniziare a parlare di salario dignitoso, e non di salario minimo, e parametrarlo sul tempo parziale se è volontario”, ha aggiunto Capone, ricordando che c'è un cooperativismo d'assalto che vede, anche in settori non marginali, lavoratori impiegati con contratti da 3-4 ore a settimana.

Sulla stessa linea la presidente della commissione Lavoro della Camera, Romina Mura: la direttiva va migliorata, ma lascia spazio per valorizzare la contrattazione collettiva nel rispetto delle specificità nazionali, senza un imporre un salario minimo legale. E non bisogna dimenticare che la povertà lavorativa non deriva solo dalla retribuzione oraria inadeguata. “Il problema del part time involontario - ha sottolineato - non lo risolverà nessuna direttiva, su questo gap bisogna lavorare”.

Dubbi su un testo vincolante e sull'impatto nei diversi paesi UE

Ci sono poi anche altri tasselli dell'iniziativa legislativa UE in materia, in particolare sulla trasparenza della retribuzione, sulla parità tra uomini e donne e la direttiva, che la Commissione dovrebbe presentare prossimamente, sui lavoratori delle piattaforme digitali, ha detto l'europarlamentare della commissione Employment Elisabetta Gualmini.

Parallelamente, bisogna valutare aspetti di contesto e rischi. La direttiva è un primo passo verso l'uguaglianza dei cittadini europei, ma deve accompagnarsi a interventi per la convergenza anche delle politiche fiscali dei 27, ha sottolineato Fulvio Martusciello, parlamentare della commissione Affari economici e monetari del PE, mentre per l'eurodeputata della commissione Occupazione Elena Lizzi, bisogna prestare attenzione al rischio di effetti distorsivi al ribasso che potrebbero vanificare equilibri faticosamente raggiunti negli ultimi decenni.

Sono le preoccupazioni al centro degli interventi delle associazioni datoriali. Per Stefania Rossi di Confindustria, la direttiva non va nella giusta direzione e apre più problemi di quanti non ne risolva. Siamo a favore di una maggiore integrazione europea anche a livello sociale, ma il testo proposto dalla Commissione presenta difficoltà interpretative, a cominciare dalla definizione di contrattazione collettiva e contratti, ha detto. In Italia abbiamo intrapreso dal 2018 un percorso di individuazione e valorizzazione del dialogo delle organizzazioni più rappresentative, l'approccio della direttiva sarebbe per noi un arretramento in un momento in cui l'obiettivo comune è contrastare il dumping sociale, ha sottolineato.

In più, per Confindustria, imporre il modello della contrattazione collettiva sembra di difficile attuazione in paesi in cui gli attori sono deboli per negoziare o non interessati a soluzioni condivise. Qui si può lavorare per il capacity building e intanto affrontare il tema della povertà con politiche di inclusione e politiche attive per garantire sostegno al reddito e intanto sviluppare competenze.

Del tutto contraria, per metodo e merito, Confcommercio. Per la vicepresidente Donatella Prampolini, da una parte, la forma della direttiva non rispetta le competenze nazionali e l'autonomia delle parti sociali e i contenuti sono più adatti a una raccomandazione; dall'altra ci sarebbe un impatto elevatissimo sulle PMI, con un aumento del costo del lavoro, dei prezzi e, in misura più contenuta, una riduzione dei profitti che in questa fase non possiamo permetterci. Sono le parti sociali a dover lavorare nei rispettivi Stati membri per migliorare la situazione, ha detto. In Italia, ad esempio, Prampolini ha suggerito un ruolo più attivo del Cnel, che anziché limitarsi a registrarsi i contratti potrebbe verificarne la coerenza con quello comparativamente più rappresentativo per il settore di riferimento.

Direttiva UE opportunità da non sprecare

Anche secondo Vincenzo Sofo, eurodeputato della commissione Empl, una raccomandazione avrebbe rispettato maggiormente le competenze degli Stati membri ed evitato il pericolo di distorsioni, ad esempio sul fronte delle metodologie utilizzate per valutare il rispetto degli standard in termini di contrattazione collettiva, o per via delle differenze tra i mercati del lavoro, i diversi gradi di mobilità lavorativa e di carico fiscale sul lavoro nei paesi UE. Ma è un salto di qualità che l'Europa si occupi della dimensione sociale, ha detto, un effetto insperato della Brexit che ci consegna un'Unione europea più pronta a superare l'approccio minimal.

Nella direttiva va prevista una migliore definizione di parti sociali, dei soggetti rappresentativi che possono contrattare, ma in generale abbiamo bisogno di un processo europeo di convergenza verso l'alto dei salari, ha detto Susanna Camusso, responsabile Politiche Internazionali della CGIL. L'intero sistema produttivo europeo dovrà fare i conti con i problemi che la pandemia ha reso evidenti, questa può rivelarsi la stagione essenziale per pensare allo spazio comune europeo non solo come mercato ma anche per ricostruire l'alleanza tra capitale, lavoro e welfare, ha aggiunto.

Il ragionamento direttiva/raccomandazione è ormai superato, il Parlamento vuole la direttiva, come la Commissione e il Consiglio, ha ricordato Daniela Rondinelli della commissione Empl. Al di là dei parametri proposti dalla Commissione, l'obiettivo deve essere garantire retribuzioni al di sopra della soglia di povertà e fare in modo che le aziende che non garantiscono un salario dignitoso non possano accedere alle gare per appalti pubblici né ottenere i fondi europei sia diretti che indiretti.

Il parere di imprese e lavoratori sulla proposta di salario minimo

Photo credit: Foto di Janno Nivergall da Pixabay 

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