Recovery Plan: Tufarelli, non chiamatelo Piano Marshall

Francesco TufarelliIl coordinatore dell'Ufficio politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri risponde ad alcune domande sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. “Da Bruxelles non mi aspetto obiezioni particolari” al testo che sarà inviato entro il 30 aprile.

Cosa prevede il Recovery Plan di Draghi: mission, progetti e riforme

Resta il nodo riforme, molto dibattuto in queste ore e oggetto di un confronto serrato tra Roma e Bruxelles: “Le riforme sono il banco di prova, non solo per l’Italia ma per tutti i Paesi”, sottolinea Tufarelli. 

Ma facciamo un passo indietro, inquadrando il Recovery Plan nella giusta prospettiva. 

Non chiamatelo Piano Marshall

“Per la prima volta nella storia dell’Unione abbiamo una massa così importante di risorse messe a disposizione in un periodo così breve, sotto forma di grant”. Una sfida importantissima che molti, soprattutto nei mesi scorsi, hanno indicato come il nuovo Piano Marshall.

Una definizione scorretta, secondo il coordinatore dell'Ufficio politiche europee, in primis perché non si tratta di un aiuto esterno, ma anche perché l’impianto di aiuti disegnato dal Next Generation EU “ha delle condizionalità piuttosto forti e viene gestito nell’ambito di ‘soci’ di un’Unione europea”. Detto in altri termini, “il PNRR è un intervento messo a disposizione da una comunità di Stati che decide di ripartire le risorse in ragione di alcune condizioni venutesi a creare a seguito dell’epidemia Covid-19”. 

Il nodo riforme

Le condizioni da rispettare per accedere ai fondi del Next Generation EU sono state chiare da subito: “andavano rispettate determinate percentuali”, il Piano andava strutturato in “missioni specifiche” e andavano rispettate “le raccomandazioni date dalla Commissione nel 2019/2020 sulle riforme”. Si tratta delle cosiddette Country Specific Recommendations, le raccomandazioni specifiche per paese formulate dalla Commissione europea e rivolte a tutti i Paesi: nel dettaglio, le raccomandazioni del 2019 e 2020 sono quelle rilevanti ai fini del PNRR.

Le riforme sono il banco di prova, non solo per l’Italia ma per tutti i Paesi. La nostra virtù si misurerà nella serietà degli impegni e nella capacità nel perseguirli. E’ una sfida importante: bisogna impegnare le risorse entro il 2023 e spenderle entro il 2026, i progetti sono molto ambiziosi”.

Ma “è sbagliato pensare la Commissione che ci faccia le pulci: si tratta del normale processo di verifica, condotto nei confronti di ogni Paese”.

L’iter del Piano nazionale di ripresa e resilienza

Per rispettare i tempi ed inviare il Piano nazionale di ripresa e resilienza alla Commissione europea entro il 30 aprile, il Recovery non segue il normale iter parlamentare: l’iter è stato infatti velocizzato scegliendo la formula delle comunicazioni del premier nelle aule delle due Camere. 

La risoluzione sul testo è stata approvata dalla Camera dei deputati e dal Senato il 27 aprile. 

Rispondendo alle critiche mosse dalle opposizioni proprio sull’iter del Piano, considerato troppo breve, Tufarelli cerca di calmare le acque: “Da due mesi il Parlamento ha proposto valutazioni sulla precedente bozza. Nel frattempo il testo non è stato stravolto”. 

E come dichiarato da Draghi alla Camera, anche Tufarelli tiene a sottolineare il ruolo rilevante che il Parlamento è tenuto a svolgere nei mesi a venire.

Che reazione aspettarsi da Bruxelles? 

La prima scadenza utile per presentare il piano alla Commissione europea è quella del 30 aprile.

“Da Bruxelles non mi aspetto obiezioni particolari, ma richieste di chiarimenti”, dichiara Tufarelli. Del resto, la Commissione si troverà di fronte a “27 interpretazioni di una politica nuova”, il Recovery appunto. 

“Mi aspetto siano valutazioni interlocutorie, non credo ci saranno blocchi al Piano”. 

La roadmap europea per l'approvazione dei Recovery Plan

La governance del Piano

Altro nervo scoperto nella narrazione del Recovery è la governance: “la stiamo ancora definendo bene. La cabina di regia è e “dev’essere a Palazzo Chigi, perché la Presidenza del Consiglio ha il compito di coordinamento generale dell’attività di Governo, che è in capo al presidente e non è delegabile”, spiega Tufarelli. “Il governo tecnico del PNRR è al MEF. E così sarebbe stato con qualunque Governo”. 

Sarà importantissimo il ruolo di Regioni e enti locali in fase di attuazione dei diversi interventi”, prosegue. E rispondendo alle polemiche circa l’esclusione di tali organi dalla governance del Piano, Tufarelli nega categoricamente: “Nel Comitato Interministeriale per gli Affari Europei (CIAE) erano invitati i rappresentanti delle amministrazioni e molti loro progetti sono stati presentati ai singoli ministri”. 

Come sono stati scelti i progetti e gli interventi del PNRR?

A proposito dei singoli progetti inclusi nel PNRR, Tufarelli fa un esempio concreto: il progetto Green Communities inserito all’interno della terza componente della Mission 2, dedicata a Rivoluzione verde e transizione ecologica.

Le Green Communities rappresentano “un mosaico di formule organizzative tra territori - quindi non soltanto enti locali, ma anche privati e altre aggregazioni - che si trovano a gestire un bene di cui fruisce l’intera comunità: una montagna, un ghiacciaio, un lago, un fiume. Ciò determina per queste zone un lucro cessante, perché il territorio non permette di fare operazioni fruttuose ma che inquinano, e dei costi di mantenimento. Ma di questo bene fruisce l’area metropolitana, che si trova a contrarre un’obbligazione nei confronti di queste comunità”. 

Il progetto incluso nel Recovery Plan intende avviare un nuovo rapporto sussidiario e di scambio con le comunità urbane e metropolitane, favorendo la nascita e la crescita di 30 Green Communities attraverso il supporto all’elaborazione, il finanziamento e la realizzazione di piani di sviluppo sostenibili dal punto di vista energetico, ambientale, economico e sociale. 

In particolare, l’ambito di tali piani includerà in modo integrato: 

  • la gestione integrata e certificata del patrimonio agro-forestale;
  • la gestione integrata e certificata delle risorse idriche; 
  • la produzione di energia da fonti rinnovabili locali, quali i microimpianti idroelettrici, le biomasse, il biogas, l’eolico, la cogenerazione e il biometano; 
  • lo sviluppo di un turismo sostenibile; 
  • la costruzione e gestione sostenibile del patrimonio edilizio e delle infrastrutture di una montagna moderna; 
  • l’efficienza energetica e l’integrazione intelligente degli impianti e delle reti; 
  • lo sviluppo sostenibile delle attività produttive (zero waste production); 
  • l’integrazione dei servizi di mobilità; 
  • lo sviluppo di un modello di azienda agricola sostenibile.

“Con le Green Communities abbiamo messo a disposizione un primo stanziamento già disponibile attraverso un progetto PON, cui si aggiunge uno stanziamento nel PNRR”, pari a 0,14 miliardi. Un ciclo virtuoso che “va portato a regime”.

Quali opportunità per imprese e privati dal Recovery?

“Nel PNRR per ora vengono principalmente individuati gli investimenti pubblici”, premette Tufarelli, ma “non mancheranno le opportunità per i privati. Una volta assegnate le risorse agli Enti regionali e locali, la sfida è avere un procurement meno complesso di quello attuale per agevolare l'ingresso dei privati per l'utilizzo dei fondi”.

Ci sarà una nuova riforma del codice appalti?

“Occorre fluidificare lo strumento”, ammette Tufarelli, che pur non entrando nel merito della paventata riforma del codice degli appalti, ammette: “Non possiamo applicare all’infinito i sistemi di sospensione”. 

Di certo, “dobbiamo rendere il procurement più semplice, semplificando soglie e controlli” e occorre “intervenire sul tema della responsabilità dipendenti pubblici, che genera terrore”. Sul come non si sbilancia, ma sostiene che si tratta di una modifica “fattibile in pochi passaggi”, che andrebbe portata in Parlamento come decreto legislativo. 

Questo sito web utilizza i cookie! Acconsenti ai nostri cookie, se continui ad utilizzare questo sito web.