Bilancio UE post 2020 – se anche l'Italia mette in dubbio PAC e Coesione

Luciano Barra Caracciolo - Photo credit: Camera dei DeputatiLa partita sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 è cruciale per il futuro dei programmi di finanziamento UE, ma l'esito incerto della Brexit, la reticenza degli Stati membri ad aumentare i contributi al bilancio europeo e le diverse visioni sulle priorità da perseguire concorrono a ostacolare il raggiungimento di un accordo. Con posizioni inedite anche in Italia.

La proposta della Commissione per il bilancio UE 2021-2027

I negoziati sul bilancio pluriennale dell'Unione sono, per l'importanza delle posta in gioco, necessariamente complessi. La partita sul Quadro finanziario post 2020, però, è complicata da una serie di fattori. Certamente pesano la Brexit e l'imminenza delle elezioni europee, ma anche interrogativi più generali sui compiti che l'Unione dovrebbe assumere e sul ruolo dei finanziamenti UE, alimentati dagli anni della crisi e dall'avanzata di movimenti e partiti euroscettici, ma ben radicati in antiche divisioni tra gli Stati membri.

Il risultato è che ad essere in discussione è non solo la possibilità di destinare risorse aggiuntive del bilancio UE alle nuove sfide emergenti che l'Unione ha più volte di dichiarato di voler affrontare in comune – dalla digitalizzazione ai cambiamenti climatici, dalla migrazione alla difesa – ma anche la tenuta delle politiche tradizionali, come la Politica Agricola Comune (PAC) e la Politica di Coesione, e il fine ultimo di promuovere, attraverso i fondi europei, una convergenza di massima tra le economie del vecchio continente.

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Il contesto sembrerebbe porre l'Europa a un bivio.

La prima strada consisterebbe nel rispondere all'uscita del Regno Unito dell'Unione e all'avanzare dei movimenti euroscettici rilanciando il concetto del valore aggiunto dei fondi europei, per cui si ribadisce che il bilancio UE interviene per affrontare problemi comuni in maniera più efficace della somma degli interventi nazionali e che il “ritorno” dei fondi europei non coincide strettamente con le somme ottenute a fronte di quanto versato, ma con i vantaggi di più lungo termine dell'azione UE e dell'appartenenza stessa all'Unione

E' la strada indicata dal Parlamento europeo, che richiede che si assicurino risorse adeguate sia a dare continuità alle politiche tradizionali, limitando i tagli PAC e Coesione, che a finanziare i nuovi programmi, come il Fondo europeo per la difesa e Digital Europe. In questo caso il negoziato dovrebbe concentrarsi anzitutto su come reperire i fondi aggiuntivi necessari - considerato anche il gap di 10-13 miliardi di euro causato dalla Brexit -, quindi sulla disponibilità o meno degli Stati membri ad aumentare i contributi nazionali e sulla riforma del sistema delle risorse proprie.

La seconda strada porterebbe invece in superficie tutti i nodi più controversi alla base della costruzione del bilancio UE che attualmente dividono gli Stati membri, a cominciare dalla differenza di posizioni tra percettori netti e contributori netti, per arrivare potenzialmente a un ripensamento radicale della sua struttura e dei suoi meccanismi di finanziamento e funzionamento.

Le due strade configurano scenari opposti e scegliere l'una o l'altra avrebbe conseguenze decisive sul futuro del progetto europeo.

Il quadro che sembra delinearsi ascoltando le dichiarazioni dei rappresentanti dei governi europei è però molto più confuso. L'impressione è che le forze in gioco non siano in grado di determinare il prevalere né dell'una né dell'altra opzione, andando a spianare la strada a una vittoria a metà, o a una doppia sconfitta.

Alcuni paesi vorrebbero una riduzione della spesa, anche a costo di tagliare le dotazioni di PAC e Coesione; altri si oppongono ai tagli alle politiche tradizionali, ma vorrebbero ridurre i fondi per le nuove priorità, come migrazione, difesa, sicurezza, competitività e digitale. Nessuno sembra realmente disposto ad aumentare i contributi al bilancio UE e le nuove risorse proprie presentano talmente tanti problemi applicativi che difficilmente si tradurranno in un'entrata affidabile e consistente.

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Da queste ambiguità non è esente neanche l'Italia, che non si è pronunciata sul tetto complessivo del prossimo QFP e, secondo quanto dichiarato dal sottosegretario alle Politiche europee Luciano Barra Caracciolo in una recente audizione alla Camera, deciderà in base all'andamento del negoziato sui settori di maggiore interesse nazionale.

Anche in questo caso, però, non ci sono linee rosse ben definite. In via generale l'esecutivo si è posto l'obiettivo di contrastare i tagli alla Politica Agricola Comune e alla Politica di Coesione, di cui siamo tra i maggiori beneficiari, ma le dichiarazioni del sottosegretario sulle due principali politiche UE non sembrano preludere a una battaglia italiana a Bruxelles contro i tagli.

Per Caracciolo i risultati delle politiche europee sono talmente deludenti da chiedersi se le politiche nazionali non avrebbero potuto ottenere benefici maggiori, considerando anche che il cofinanziamento nazionale ai fondi UE immobilizza ulteriori risorse in programmi dai benefici solo “teorici”.

Più che della dotazione complessiva, ha spiegato durante l'audizione, per l'Italia sono cruciali altri elementi: i criteri di distribuzione delle risorse, quindi il parametro della prosperità relativa dello Stato membro per quanto riguarda la Politica di Coesione e il superamento dei criteri della superficie e della convergenza esterna per quanto riguarda la PAC; lo scomputo del cofinanziamento dal calcolo del disavanzo pubblico; l'abbandono della nuova proposta di condizionalità macroeconomica.

In sintesi, la priorità dell'esecutivo sembrerebbe quella di ottenere alcuni aggiustamenti per giustificare l'irrigidimento della spesa pubblica derivante dal cofinanziamento di programmi “non sempre coincidenti con le priorità nazionali” e più in generale - parafrasando le parole del presidente della commissione Bilanci della Camera, Claudio Borghi - il meccanismo per cui gli Stati membri con un reddito nazionale lordo più elevato distolgono risorse dalle politiche nazionali per supportare la crescita di altri paesi in fase di sviluppo.

Una visione che possiamo aspettarci venga smussata e mediata nel corso del negoziato, ma che di certo si allontana molto dalle posizioni tradizionali dall'Italia e dalla compattezza con cui, trasversalmente alle forze politiche, si è sempre difeso un ruolo forte di PAC e Coesione.

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