COP29: cosa prevede l’accordo di Baku sulla finanza per il clima
Alle prime luci dell’alba di ieri, 24 novembre, i responsabili politici di molti Paesi del mondo (seppure con l’assenza di importanti player come il Presidente degli USA o Von der Leyen) hanno raggiunto il consueto accordo sul vertice climatico. Al centro dell’accordo della COP29, l’impegno delle nazioni più ricche a mobilitare 300 miliardi di dollari all’anno per la finanza climatica.
Finanziamenti per il clima: le conclusioni del Consiglio UE in vista della COP29
Al centro dell’accordo della COP29 che si è svolta a Baku in Azerbaijan, c’è il tema dei finanziamenti per il clima, un nodo su cui puntualmente i Paesi del Sud e quelli del Nord del mondo faticano a trovare una posizione condivisa. E il vertice di quest’anno non ha rappresentato un’eccezione. Vediamo perché.
Cosa prevede l'accordo della COP29 per la finanza climatica
L’accordo raggiunto dai leader alla COP29 prevede un pacchetto finanziario da 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035, che dovranno versare le nazioni più ricche (tra cui anche i 27 dell’Unione Europea) ai Paesi in via di sviluppo e più vulnerabili agli eventi metereologici estremi, con l’obiettivo di supportarli nel contrasto alla crisi climatica.
Il “New Collective Quantified Goal”, ovvero l’accordo sulla finanza per il clima a sostegno degli Stati più poveri, è una delle misure su cui si è insistito di più nel corso del vertice climatico. Può essere quindi considerato, in parte, una vittoria perché la cifra convenuta è superiore ai 250 miliardi ipotizzati dalla bozza trapelata nei giorni scorsi. Tuttavia, è una soluzione che non accontenta tutti, soprattutto i G77, cioè i Paesi in via di sviluppo, che speravano in un impegno di 1,3 trilioni all’anno.
Da qualsiasi parte la si guardi, l’accordo rappresenta senza dubbio una soluzione insufficiente a coprire gli investimenti di cui avrebbero bisogno le nazioni più vulnerabili per essere protette dai danni climatici. Secondo i “contributi determinati a livello nazionale” - ovvero i piani nazionali che contengono le misure che ogni Paese prevede per affrontare il climate change - dei Paesi in via di sviluppo si attestano tra i 5 e i 6,8 trilioni di dollari al 2030. I 300 miliardi sono quindi evidentemente una cifra troppo bassa, come ribadito da Paesi come l’India, che hanno inoltre avvertito che una scadenza così lontana, fissata a dieci anni, rischia di rallentare la transizione globale verso l'energia pulita.
Per quanto concerne il target auspicato dalle nazioni più povere, quello degli 1,3 trilioni di dollari, i leader della COP29 “invitano” (quindi non “richiedono”) tutte le parti a collaborare per consentire l’incremento dei finanziamenti destinati ai Paesi in via di sviluppo per l’azione climatica, ad almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno entro il 2035. Inoltre, sebbene il target di 1,3 trilioni annui sia certamente più in linea con quanto richiesto dai Paesi più poveri, questi ultimi non sono rimasti contenti del fatto che sia stato esplicitato il loro coinvolgimento come attori responsabili dell’erogazione dei finanziamenti (seppure su base volontaria).
Per quanto riguarda la provenienza dei finanziamenti, l’accordo (in riferimento all’obiettivo dei 300 miliardi) prevede che si debba attingere “da una vasta gamma di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, incluse fonti alternative”. Un aspetto inviso ai Paesi in via di sviluppo, che preferirebbero invece prediligere le sovvenzioni (“grants”) rispetto ai prestiti (“loans”).
Ad appesantire maggiormente i già limitati risultati della COP29, anche la vittoria di Donald Trump che, seppure ancora formalmente non in carica, ha già promesso di ritirare gli Stati Uniti dagli sforzi globali per il clima. A destare timori anche la probabile introduzione, sempre ad ore di Trump, di dazi generalizzati su tutte le importazioni, che potrebbero avere ripercussioni drammatiche sulle economie di molti Paesi poveri, rendendoli ancora più vulnerabili e privi di risorse sufficienti per fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico e per portare avanti la transizione ecologica anche in quei contesti.
Infine, a gravare sulla credibilità dell’ultimo vertice sul clima, come nel caso della COP28 di Dubai dello scorso anno, il fatto che la COP29 si sia svolta in un Paese produttore di combustibili fossili, cioè l’Azerbaijan. Una perplessità avvalorata dal fatto che al vertice di Baku non si sono fatti passi concreti per portare avanti il discorso dell’abbandono dei combustibili fossili e l’obiettivo di triplicare la capacità delle energie rinnovabili entro il 2030.