La legge sulla tutela del Made in Italy approvata dalla Camera

 La legge a tutela del Made in Italy ha incassato lo scorso 10 dicembre il primo sì di Montecitorio e passa ora all’esame dell’altro ramo del Parlamento. Una norma dal sapore fortemente bisartisan, approvata dall’Aula quasi all’unanimità, i cui primi firmatari sono un leghista (Reguzzoni), uno dei più famosi stilisti italiani e del mondo (Versace) e un imprenditore del Pd (Calearo).
Per difenderci dalla concorrenza straniera (in particolare da quella cinese, ritenuta tra le più pericolose) e difendere al salute dei consumatori che si accingono ad acquistare un prodotto, la legge istituisce un sistema di etichettatura obbligatoria per l’abbigliamento, arredo casa, pelletteria e scarpe, i settori più colpiti dalle politiche di dumping messe in campo da alcuni paesi.
 
Il provvedimento era nato principalmente per il tessile, ma nel corso della discussione è stato ampliato anche agli altri ambiti citati. Attraverso il "labeling" viene evidenziato il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione e si assicura la tracciabilità dei prodotti. Il testo stabilisce che “nell’etichetta dei prodotti finiti e intermedi l’impresa produttrice deve fornire in modo chiaro e sintetico informazioni specifiche sulla conformità dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro, sulla certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti, sull’esclusione dell’impiego di minori nella produzione, sul rispetto della normativa europea e sul rispetto degli accordi internazionali in materia ambientale.
 
L’impiego della denominazione "Made in Italy" è permesso soltanto per prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione hanno avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale ed in particolare se almeno due delle fasi di lavorazione sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità”. In caso di violazione della norma, le sanzioni possono raggiungere i 70 mila euro. Se il reato è ripetuto, è prevista la reclusione da uno a 3 anni. La pena può raggiungere i sette anni se le violazioni sono commesse attraverso attività organizzate.
 
Sul fronte della promozione il ministro delle Politiche Ue dovrà assumere iniziative presso le istituzioni europee competenti perché vengano adottate leggi volte a recepire lo spirito e i contenuti di questa norma per la tutela della tracciabilità dei prodotti tessili made in Italy. Si ipotizza quindi che vengano chiamate in causa la DG Industria ed Imprenditoria (Tajani) e la DG Commercio (De Gucht) della Commissione Europea.
 
Secondo Adolfo Urso, vice ministro dello Sviluppo economico con delega al commercio (che si è astenuto al momento della votazione) il testo approvato dalla Camera è “una bandiera, un’affermazione di principio. Questa legge ci darà più forza in sede europea per convincere i paesi partner a varare il nuovo regolamento sull'etichettatura obbligatoria e, quindi, a tutela del made in Italy che il governo italiano è riuscito ad imporre nell'agenda comunitaria. La soluzione del problema - avverte Urso - è però solo in Europa e, in quella sede, porteremo la volontà comune del parlamento italiano, affinché siano tutelati i consumatori, le imprese e il lavoro italiano ed europeo”.
 
Il padre della proposta di legge, il leghista Reguzzoni, ha affermato: “L’etichetta non dirà più dove è stata fatta l'ultima lavorazione, ma dove effettivamente è stato fatto il prodotto. Noi consumatori avremo maggiori informazioni sulla qualità e sulla sicurezza dei prodotti acquistati. Potremo finalmente avere la possibilità di selezionare e indirizzare le nostre scelte verso prodotti di qualità, che rispettino la salute umana e l'ambiente. Dunque anzitutto una legge per tutelare i consumatori, ma che aiuta anche le nostre industrie in un momento di grave crisi. Salveremo un milione di posti di lavoro. L’etichettatura obbligatoria sui prodotti tessili, dell'abbigliamento, dell'arredo casa, delle calzature e della pelletteria non sarà più semplicemente un obbligo doganale, ma dirà a chi acquista dove è stato fatto il prodotto”.
 
Il numero uno di Confartigianato, Giorgio Guerrini, ha espresso soddisfazione per quei settori "che hanno subito negli ultimi anni gli effetti piu’ gravi dei fenomeni di globalizzazione selvaggia e di concorrenza sleale da parte di chi pretende di mettere il marchio made in Italy su prodotti realizzati all’estero”.

(a cura di Alessandra Flora)

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