Comunità energetiche e idrogeno nelle aree portuali, sfide e opportunità

Porto - Foto di Jason Goh da PixabayLe aree portuali sono assimilabili ai settori “hard-to-abate”: sono fortemente energivore e hanno un chiaro problema di decarbonizzazione ma sono aree fondamentali intorno cui muovono le economie di intere aree del Paese. Per ridurre il loro impatto energetico ed ecologico entrano in campo le comunità energetiche rinnovabili e l’idrogeno. Obiettivo: realizzare un modello di sviluppo sistemico in grado di cogliere le sfide della transizione.

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I porti sono infatti tra le infrastrutture più energivore e sono chiamati ad un forte sforzo di decarbonizzazione che vede al centro importanti investimenti nel cold ironing e nei green ports. 

Una transizione all’elettrico che disegna una realtà nuova per queste aree grazie alla nascita di comunità energetiche ad hoc. 

“Le CER che potrebbero sorgere nelle aree portuali devono rispondere a fabbisogni e obiettivi differenti, proprio perché di per sé tali aree danno già vita a delle comunità”, spiega Fabio Armanasco, responsabile Progetto Comunità energetiche del RSE aprendo i lavori del panel “Le prospettive delle comunità energetiche nelle aree portuali” nell’ambito della seconda conferenza nazionale delle comunità energetiche organizzata dall’Italian Forum of Energy Communities (IFEC) a Napoli il 22 novembre. 

Le comunità energetiche che sorgono nelle aree portuali, insomma, non assomigliano a quelle comunità di energia rinnovabile di cui sempre più spesso di parla. “Quindi è bene capire come intervenire, non solo in un’ottica di efficientamento energetico ma anche cercando di individuare quei modelli di sviluppo sostenibile in grado di ridurre l’impronta ecologica di queste realtà”, prosegue Armanasco. 

Comunità energetiche e porti: il contesto normativo

Il primo passo per conoscere le opportunità e le sfide legate allo sviluppo di queste realtà sul territorio nazionale è conoscere la normativa. 

Il testo di riferimento in Italia è il dlgs 199/2021, il testo che ha applicato nel nostro ordinamento la direttiva europea rinnovabili o RED II. Direttiva che ha introdotto nuove regole e abbattuto quelli che molti consideravano degli ostacoli esistenti, innalzando in primis i limiti di potenza per singolo impianto CER incentivabile fino a 1 MW.

A questo, nel corso del 2022, si è aggiunto il decreto Aiuti che ha dato ai porti la possibilità di dare vita a una o più comunità energetiche di potenza anche superiore a 1 MW e di accedere agli incentivi bypassando il limite imposto dal dlgs 199/2021 per quanto riguarda la potenza massima incentivabile. 

Comunità energetiche e aree portuali: benefici e limiti del cold ironing

Ma come si trasforma un’area portuale in una comunità energetica? Non è così semplice e le sfide da affrontare sono numerose.

Lo sviluppo delle CER portuali riguarderà non solo l’installazione di fotovoltaico e la massimizzazione dell’autoconsumo delle energie rinnovabili prodotte in loco. In prospettiva le comunità energetiche portuali si trovano a fronteggiare una serie di domande specifiche. Si pensi alla questione legata all’alimentazione cold ironing delle navi da crociera

Facciamo un passo indietro. Il cold ironing è il processo che permette di spegnere i motori delle navi durante l’ormeggio in porto senza perciò far venir meno l’energia richiesta dalle navi stesse. Un processo basato sull’allacciamento alla rete elettrica che permette ovviamente di ridurre l’inquinamento generato dal funzionamento dei motori di bordo ma che ha un limite: l’alto costo di installazione. Tale tecnologia infatti richiede l’elettrificazione della banchina e un intervento sulla nave.

Tanto per avere un’idea di quanta energia richiedano le grandi imbarcazioni, una nave da crociera potrebbe arrivare a chiedere 10/20 MW al sistema energetico portuale. Si tratta di livelli di potenza importanti che il sistema elettrico potrebbe gestire oggi non senza difficoltà. 

Occorre quindi evitare che una volta terminata la fase di sperimentazione il cold ironing rimanga lettera morta.

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Idrogeno, l’anello di congiunzione tra comunità energetiche e porti?

“Una delle prime sinergie tra sistema portuale e comunità energetiche può avvenire grazie all’idrogeno”, sostiene Federico Rossi, Environmental & Technical Expert di Assocostieri. 

Come? “Per gestire potenze elevate possono essere utili degli accumuli ma quelli tradizionali (con accumulatori come le batterie) possono risultare troppo costosi”, spiega. Per aggirare il problema Rossi propone di puntare “sull’autoproduzione di idrogeno all’interno dell’area portuale”. 

“Una possibile applicazione sarà la produzione di idrogeno in porto, il suo stoccaggio e il suo impiego per fronteggiare picchi di domanda quali l’ormeggio delle navi da crociera e il cold ironing”.

“L’idrogeno - prosegue - si presta molto bene alla conversione dell’energia generata in eccesso da un sistema di energia rinnovabile: è parte del mondo dei carburanti quindi ha un’elevata densità energetica e si presta ad un accumulo in maniera più spiccata rispetto all’energia elettrica”.

Ma anche l’idrogeno ha i suoi limiti, almeno per ora

Ma c’è un ma ed è quello sottolineato da Ivo Gattulli, Head of Country (Italy) di Cleanwatts Energy: se è vero che l’idrogeno sarà un game changer, ciò non significa che ora sia la soluzione più semplice da attuare. 

“Il problema dell’idrogeno è che richiede un generatore gigantesco in grado di produrre a costi marginali prossimi allo zero grandi quantità di idrogeno che consenta di gestire i picchi” di domanda.

Cosa serve davvero per realizzare comunità energetiche nelle aree portuali?

“Il vero cambio di paradigma è sì tecnologico, quindi legato al combustibile, ma non si risolve sostituendo semplicemente il gas con l’idrogeno. C’è bisogno è un profondo cambio di paradigma che riguardi il modo in cui si intende il sistema”, conclude Gattulli. 

Punto, questo, su cui concorda Armanasco che invita a non cadere in una visione miope quando si parla di transizione green: “Quello a cui tendere dev’essere un modello sistemico aperto ad accettare anche il contributo delle fonti fossili in un percorso di transizione. E’ impensabile oggi che una comunità energetica in area portuale possa dare una risposta pronta”. 

Un modello che va pensato mettendo in dialogo le esigenze infrastrutturali di un’area portuale, dei territori e della collettività coinvolta e le esigenze del sistema elettrico. Dev’essere quindi un percorso di accompagnamento che non dev’essere figlio di una visione ottusa per transitare verso le rinnovabili tout court ma dove le rinnovabili dovranno dare un grosso contributo a un percorso di sostenibilità”, conclude il responsabile Progetto Comunità energetiche del RSE. 

Due esempi da seguire: Anversa e Civitavecchia

In chiusura dei lavori il rappresentante di Assocostieri ha proposto alcuni esempi utili per realizzare il presente e il futuro delle comunità energetiche portuali. Il primo e più noto è quello di Anversa, uno dei più trafficati porti europei che ospita un importante cluster dell’industria chimica, con impianti di aziende come BASF e ExxonMobil.

Un porto che conta più di 50 generatori eolici a terra, ognuno da 3 MW circa, e un sistema energetico portuale già molto sviluppato. Un porto che ha iniziato questo percorso di transizione green già qualche anno fa e ora punta su tecnologie come il Power-to-X e l’eolico offshore. 

Qualcosa di simile succede anche in Italia, spiega Rossi. “Anche Taranto ha installato impianti eolici offshore davanti al porto, si tratta tuttavia di eolico non galleggiante, quindi di potenza ridotta”. 

“A Civitavecchia invece viene proposto un impianto galleggiante che quindi può essere installato su acque profonde e raggiungere potenze più elevate”. E Civitavecchia sarà anche il primo porto italiano a realizzare una comunità energetica.

Del resto, l’attenzione di Civitavecchia verso le sperimentazioni non è una novità. All’inizio del 2021 l'Autorità portuale dello scalo romano ha partecipato come capofila al bando Horizon 2020 European Green Deal con il progetto ZEPHyRO insieme a oltre venti partner italiani ed europei. 

Un progetto che vale 25 milioni di investimenti ed intende realizzare nel porto di Civitavecchia una serie di impianti per i carburanti puliti come l'idrogeno, potenziare l'erogazione di energia elettrica, anche tramite lo stesso idrogeno, per alimentare mezzi di terra, rimorchiatori, e per sostenere così il cold ironing. 

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