Emissioni CO2: aste, quote e settori esonerati nell'accordo UE sul clima

Credit © European Communities, 2008Il diritto ad inquinare si paga a caro prezzo: è questa la filosofia alla base dell’accordo sul pacchetto clima ed energia raggiunto al Consiglio dell’Unione Europea. L’obiettivo del sistema UE di scambio delle quote di emissione, in vigore ufficialmente nel 2005 sulla base di una direttiva del 2003 (sistema ETS, Emission Trading Scheme), che prossimamente dovrà adeguarsi alle ultime regole comunitarie,  è quello di aiutare gli Stati a rispettare gli impegni assunti per limitare o ridurre le emissioni di gas serra in maniera economicamente efficace.

Come ha affermato il presidente della commissione UE, Josè Manuel Barroso a margine dell’intesa: “Gli impegni sulla riduzione delle emissioni prese dai Ventisette al summit di Bruxelles, sono vincolanti, e chi li viola sarà soggetto a procedura d'infrazione”.

Consentire alle imprese partecipanti di acquistare o vendere quote di emissione significa che le riduzioni possono essere conseguite con il minimo dispendio economico possibile. ETS è stato il primo sistema al mondo per lo scambio delle emissioni di CO2 e dal 2008 non si è applicato solo ai 27 Stati membri dell’UE, ma anche agli altri tre Stati dello spazio economico europeo: la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein.

ETS è un sistema "cap-and-trade" (letteralmente "porre un limite e commerciare"), cioè fissa un tetto massimo al livello totale delle emissioni ma, all’interno di tale limite massimo, consente ai partecipanti di acquistare e vendere quote secondo le loro necessità. Le quote sono la moneta di scambio comune attorno alla quale ruota il sistema. Per ciascun periodo di scambio previsto dal sistema gli Stati membri hanno preparato i piani nazionali di assegnazione nei quali sono determinati il rispettivo livello totale di emissioni nell’ambito del sistema ETS e il numero di quote di emissione che assegnano ad ogni impianto situato nel loro territorio.

Alla fine di ogni anno gli impianti devono restituire un numero di quote equivalente alle emissioni che hanno prodotto. Le imprese che emettono meno emissioni rispetto alle quote ricevute possono vendere le quote in più, mentre quelle che hanno difficoltà a mantenersi entro i limiti delle quote ottenute possono decidere se intervenire per ridurre le proprie emissioni (ad esempio investendo in tecnologie più efficienti o utilizzando fonti energetiche a minore intensità di carbonio) oppure acquistare sul mercato le quote in più di cui hanno bisogno, o ancora ricorrere a una combinazione di queste due soluzioni. La scelta dipende in genere dai costi relativi dell’operazione.

Come in qualsiasi altro libero mercato, il prezzo delle quote di emissione dipende essenzialmente dall’offerta e dalla domanda. Con il nuovo accordo raggiunto nel dicembre 2008, aumenterà sensibilmente la percentuale di quote messe all’asta rispetto a quelle assegnate gratuitamente.

Secondo l’Unione Europea il sistema delle aste offre le migliori garanzie di efficienza, trasparenza e semplicità del sistema e crea i giusti incentivi agli investimenti a favore di un’economia a basse emissioni di carbonio. Secondo le previsioni, nel 2013 sarà messo all’asta circa il 60% del numero totale di quote e le aste sono organizzate dagli Stati membri. La distribuzione dei diritti d’asta agli Stati membri si baserà, in massima parte, sulle emissioni storiche, ma una parte di essi sarà ridistribuita dagli Stati membri più ricchi a quelli meno ricchi. In questo modo sarà possibile considerare il minor PIL pro capite e le prospettive di crescita e le emissioni più elevate di questi ultimi paesi, rafforzando la loro capacità finanziaria e favorendo gli investimenti nelle tecnologie compatibili con l’ambiente.

Le aste devono rispettare le regole del mercato interno ed essere accessibili ad ogni potenziale acquirente secondo condizioni non discriminatorie. La proposta prevede l’adozione di un regolamento che istituisca le condizioni opportune per garantire l’efficienza e il coordinamento delle aste, senza distorsioni a livello di mercato delle quote.

Vediamo ora quali sono i nuovi termini del compromesso raggiunto nel Consiglio dell’Unione Europea del 12 dicembre 2008

Settore energetico. Costituisce il 60% degli introiti previsti con la vendita dei diritti ad inquinare e dovrà pagare per l’integralità delle sue emissioni a partire dal 2013. L’accordo prevede deroghe per le centrali a carbone dell’ex blocco sovietico che dovranno comprare solo il 30% delle quote nel 2013 per arrivare progressivamente al 100% nel 2020.

Settori manifatturieri a rischio delocalizzazione. Questi settori beneficeranno al 100% o quasi del diritto ad usufruire gratuitamente dei permessi ad inquinare fino al 2020. Parametri molto precisi, basati su costi addizionali, sono previsti per scegliere i settori esonerati. L’Italia ha ottenuto l’esonero per carta, vetro, ceramica e tondino. La Germania per il cemento, la calce, acciaio e chimica di base.

Altri settori. Dovranno acquistare il 20% dei diritti ad inquinare a partire dal 2013 per arrivare al 70% nel 2020 e al 100% nel 2027.

Fondo di solidarietà. Il 12% dei fondi incassati dagli Stati membri dalla vendita dei permessi ad inquinare sono destinati a costituire un fondo di solidarietà per aiutare i paesi dell’Europa dell’est a modernizzare il proprio sistema energetico, ancora dipendente dal carbone.

I ricavi della borsa UE dei permessi ad inquinare. Stimando un costo di 30 euro a tonnellata di CO2, i ricavi complessivi della vendita e scambio di permessi ad inquinare sono stimati a 44 miliardi di euro per anno. Gli introiti sono destinati alla casse statali, ma la metà dovrà essere consacrata ad investimenti verdi, in particolare contro la deforestazione, lo sviluppo delle energie rinnovabili e le altre tecnologie.

Stoccaggio. Un miliardo di tonnellate di quote di CO2 saranno riservate a installazioni costruite a partire dal 2013. In particolare, 300 milioni di quote saranno destinate dal cofinanziamento della costruzione di centri di cattura e stoccaggio di CO2.

In conclusione, per dirla con il commissario europeo per l’Ambiente, Stavros Dimas, un accordo finale alla conferenza Onu di Copenhagen del 2009 non è una scelta, ma un imperativo.
(Alessandra Flora)

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